I giorni della battaglia dei militari-partigiani sul Monte San Martino. “Una scelta di libertà e giustizia”

All'82esima commemorazione dello scontro del 15 novembre 1943, quando l'Italia era sotto il ferreo controllo dei nazifascisti. Un richiamo alla responsabilità individuale, alla rivolta morale, alla ricerca del bene comune senza restare inattivi

commemorazione 2025 battaglia del San Martino

Cosa insegna oggi la storia dei partigiani del San Martino, che sfidarono i tedeschi e i fascisti nel novembre 1943?
È la 82esima commemorazione e in qualche modo cambiano le risposte. Perché diversa è l’Italia, diverse le persone, i più giovani non sanno neppure cosa fosse l’Italia del 1943, cosa sia la data dell’8 settembre da cui parte la Resistenza.

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La commemorazione della battaglia di San Martino, tenutasi a Cuveglio, ha riunito istituzioni, associazioni e cittadini per rendere omaggio ai militari e ai partigiani che, il 15 novembre 1943, affrontarono sul monte San Martino il primo vero episodio di combattimento della Resistenza in provincia di Varese. Una battaglia persa sul piano militare, ma destinata a diventare un simbolo fondativo della lotta di liberazione.

Un seme della Resistenza

L’oratore ufficiale, lo storico Giuseppe Nigro, ha ricordato il valore storico di quei giorni: «I militari e i partigiani civili sul San Martino furono sconfitti, ma lì c’erano i germi che consentirono di far germogliare la Resistenza in provincia». Un nucleo di giovani, civili e soldati sbandati che scelsero di non arrendersi, dando vita alla formazione guidata dal colonnello Carlo Croce, che scelse per il gruppo quel nome di sapore risorgimentale (Gruppo Cinque Giornate) e un motto che guardava al riscatto dell’Italia che si era disfatta in quei giorni di inizio settembre.

Il sindaco di Cuveglio, Giorgio Piccolo, ha reso omaggio a «eroi che hanno saputo dire no, e ci voleva coraggio», sottolineando il ruolo decisivo della popolazione locale che sostenne i combattenti nelle settimane che precedettero l’attacco tedesco.

Marco Fazio, vicepresidente della Comunità Montana Valli del Verbano, ha richiamato il motto della formazione del San Martino: «Non sia posto fango sul nostro volto». Parole che, ha sottolineato, «ci consegnano oggi la responsabilità di essere sentinelle, affinché non venga infangata la memoria di quel che è stato». Citando due parole scelte dal colonnello Croce in momenti drammatici – “Italia” e “giustizia” – Fazio ha parlato di quel gruppo come portatore di «un patriottismo sano, che guardava a un’Italia inserita nel consesso internazionale, in Europa».

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«Il loro primario interesse era scacciare l’invasore, farla finita con il fascismo, ritrovare la pace», ha aggiunto Ester De Tomasi, presidente provinciale dell’Anpi. Suo padre Sergio combatté sul San Martino, continuò poi la lotta da partigiano, fu deportato a Mauthausen (dove venne poi liberato dagli americani).

15 novembre 1943, sul monte San Martino la prima battaglia della Resistenza

I valori repubblicani

Il prefetto di Varese, Salvatore Pasquariello, ha portato un alto intervento, dedicato ai principi costituzionali nati dalla Resistenza: «Non ricordiamo un episodio bellico ma la scelta di libertà e dignità, che ci impone un dovere, che sia un monito per ciascuno di noi».
Ha ricordato come la Repubblica italiana sia «nata dalla Resistenza, che ha stabilito e sta realizzando i diritti costituzionali», e ha richiamato i giovani alla consapevolezza che «la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di associazione sono libertà che in altri Paesi non sono vissute: sappiate che le nostre libertà non sono universali, si possono perdere se non le tuteliamo e coltiviamo».

commemorazione 2025 battaglia del San Martino

La libertà come pratica quotidiana

Marco Magrini, presidente della Provincia di Varese, ha fatto una convincente chiamata alla responsabilità individuale: «Da noi tuti, anzitutto dai giovani, non si pretenda obbedienza. Non si chieda adeguamento di massa a modelli e tendenze dominanti, con una potenziale perdita di individualità. Stimoliamo insubordinazione piuttosto che rassegnazione. Chiediamo di “disertare” l’indifferenza, di non delegare la nostra/ vostra voce a un algoritmo.

E poi il senso della democrazia come percorso, pratica, esperimento condiviso e non risultato dato una volta per tutte: «La libertà non è un sentimento, è un mestiere, una pratica», ha detto, definendo la democrazia «un coro magari disordinato, ma capace di riconoscersi in parole chiave».

«E poi c’è la verità, che non è proprietà di nessuno. La verità si cerca. Si prova, si sbaglia, si corregge. Chi scese in montagna non aveva tutte le risposte; aveva però una domanda incandescente: “Che cosa è giusto fare adesso?”».

A parlare c’era anche la giovane sindaca dei ragazzi di Cuveglio, Aurora, che ha portato il punto di vista dei più giovani: «Oggi la democrazia per noi si concretizza nel rispetto, nell’aiuto reciproco, nella libertà di pensiero».

Parole che hanno riecheggiato quelle di Magrini – e prima di Fazio-  sul senso della parola Patria: «I partigiani ci ricordano che la patria è un bene comune, non un recinto. La patria non è una parola da urlare: è una casa da tenere in ordine. Si ama un Paese quando si rifiuta la rassegnazione, quando non si accetta che la corruzione diventi costume, che la violenza verbale diventi stile, che la discriminazione diventi norma. La patria è qui, in queste valli, nei paesi vuoti che possono tornare a vivere, nelle scuole che hanno bisogno di insegnanti stabili negli ospedali che chiedono cura, nei luoghi di lavoro dove la sicurezza deve valere più del profitto».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 16 Novembre 2025
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