Farmaci “sospesi”, nessuna truffa allo Stato: in tribunale a Varese la difesa scagiona la farmacia
La vicenda arriva in tribunale a Varese ma il processo si ferma nella fase pre dibattimentale. Le difese: “Non c'è reato", tesi sposata dal giudice
Si è tenuta martedì mattina, in sessione pre-dibattimentale, l’udienza del procedimento per presunta truffa ai danni dello Stato legata alla gestione di alcuni farmaci prescritti con ricetta e classificati come “sospesi” all’interno di una farmacia della provincia di Varese.
Davanti alla giudice Alessandra Sagone hanno preso la parola i difensori dei due imputati – titolare della farmacia e gestore – che nel corso dell’udienza “filtro“ hanno espresso le loro posizioni difensive ricostruendo quanto contestato: i medicinali prescritti tramite ricetta venivano ordinati dall’utente finale, quindi pagati regolarmente, e successivamente accantonati dalla farmacia nella categoria dei cosiddetti “sospesi“.
Secondo la difesa, questa prassi non integra alcuna condotta fraudolenta.
L’avvocato Jacopo Arturi ha spiegato che, se davvero ci fosse stata una truffa, il medicinale avrebbe dovuto essere rivenduto a terzi o immesso sul mercato in modo illecito:
«La semplice presenza del farmaco sugli scaffali, ancora nella disponibilità della farmacia, è la prova evidente dell’assenza di truffa» ha precisato il legale.
Dal punto di vista civilistico, è stato inoltre ricordato che la farmacia avrebbe potuto chiedere il rimborso del farmaco fustellato, confermando la regolarità della gestione.
L’inchiesta della Procura parte dai controlli dei Nas, il Nucleo anti sofisticazioni dei carabinieri, che avevano rilevato irregolarità per un controvalore valore complessivo di circa 500 euro di farmaci sospesi – una ventina di confezioni di medicinali – , valore spalmato su una decina di mesi. Un importo minimo, evidenziano i difensori, se confrontato con i 60 mila euro di rimborsi di farmaci provenienti mensilmente dall’agenzia di tutela della salute normalmente gestiti dall’esercizio farmaceutico in un solo mese: un quadro che per la difesa conferma una sproporzione, e la contestuale difficoltà a manifestarsi dell’ipotesi accusatoria.
Ritenendo mancante la prova del reato, i difensori hanno chiesto e ottenuto l’emissione di una sentenza di non doversi procedere.
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