L’attesa del primo servizio come l’inizio di una nuova avventura
Fine anno, tempo di bilanci, riposo e ossessioni personali, nel tennis come nella vita. È una tappa precisa del "viaggio", è l’anticamera dell’eroe che si avvia verso la propria chiamata all'avventura
Esattamente come nella vita, l’attesa per l’inizio di un nuovo anno sportivo per un tennista diventa quel ponte, quel tempo sospeso, tra ciò che è stato e ciò che verrà, tra ripensamenti e obiettivi, tra delusioni e speranze, tra cecità verso il futuro e ridefinizione di se stessi. Il fermarsi dopo una stagione lunghissima, come abbiamo visto nello scorso articolo, non è una conclusione: è il momento in cui si ascolta se stessi, si analizza, si decide con quale versione di sé tornare in campo. E come nel tennis, anche nella vita di tutti i giorni, questo è il tempo dei ripensamenti e dei progetti. Una pausa che può trasformarsi in una soglia.
Il mese che precede l’inizio della nuova stagione (che nel tennis comincia tra fine dicembre e inizio gennaio) non è una vacanza. È la scena di preparazione alla nuova avventura. Non si tratta solo di mettere ordine negli aspetti tecnici, come il servizio, la risposta, ma di comprendere le intenzioni, di dare significato alle emozioni, di guardare le cicatrici interiori, le scelte, gli errori. In parole semplici: ci si prepara non per giocare meglio, ma per essere meglio. Questo periodo, nel viaggio del tennista, è l’anticamera dell’eroe che si avvia verso la propria chiamata all’avventura.
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Jannik Sinner, mentre molti pensano alla pausa come assenza di impegni, ha vissuto momenti che indicano proprio questa inclinazione all’ascolto delle emozioni e dei ritmi interiori. Durante il weekend del Gran Premio di Formula 1 ad Abu Dhabi, Sinner ha condiviso con il giovane pilota Andrea Kimi Antonelli un giro veloce su pista, mostrando curiosità tecnica e dialogando sulle sensazioni di controllo e adrenalina, paragonandole alla gestione mentale del tennis. Questo gesto, apparentemente fuori dal circuito tennistico, racconta molto: comprendere altri sport, altre paure, altri modi di affrontare la pressione, è un allenamento mentale che va oltre la tecnica pura del tennis e prepara alla prossima stagione. La preparazione non è soltanto fisica, tecnica o nervosa. È emozionale. Sinner con Antonelli non ha solo provato una sensazione diversa: ha esplorato un’altra forma di controllo emotivo, un modello di concentrazione e rischio che somiglia, su un altro piano, a ciò che un tennista vive durante un tie-break. La curiosità, cuore di tutto, non è distrazione: è allenamento mentale.
Carlos Alcaraz ha dichiarato esplicitamente quali sono i suoi obiettivi per il 2026. L’Australian Open è al centro del suo programma di lavoro: vincere il primo Slam della stagione, che gli manca ancora per completare il Career Grand Slam e nel suo immaginario avvicinarsi alla storica impresa del calendario Slam. Anche se ha detto che questa non sarà l’unica strada, è chiaro che questa ambizione modella il suo allenamento mentale e tattico. Alcaraz, parlando dei suoi obiettivi, non si limita a voler vincere: definisce un percorso di senso, una visione dell’eccellenza che non si chiude nella competizione immediata, ma si proietta nel tempo. Anche questo è allenare la mente: porsi domande sul proprio futuro e non solo sul presente.
Novak Djokovic, all’età di 38 anni in cui molti si ritirerebbero o si sono già ritirati da tempo, osserva il proprio percorso con un’altra lente: non più solo numeri e record, ma longevità, evoluzione e ruolo nella trasformazione del tennis stesso. Recenti dichiarazioni del campione serbo mostrano un’atleta che non vuole lasciare campo solo perché “è vecchio” o perché la carriera è lunga; Djokovic ha affermato che non intende ritirarsi a breve, ispirandosi a grandi atleti longevi di altri sport e desiderando restare competitivo e parte attiva del cambiamento del tennis nel futuro prossimo. Djokovic, guardando oltre i numeri, e affermando che la sua carriera non finirà perché è “il momento”, parla di passione che trascende i trofei. Per lui la preparazione non è un mezzo per accumulare successi, ma una modalità di restare connesso al senso più profondo di sé e del tennis.
Nel “viaggio del tennista”, questa fase è la tappa dell’avvicinamento alla Caverna: quel luogo simbolico in cui l’eroe si confronta con se stesso prima di partire davvero per l’avventura successiva. Non è silenzio. Non è fine. È consapevolezza in movimento lento. E non serve essere professionisti per comprendere il senso profondo di questa tappa. Anche fuori dai campi, anche lontano dai riflettori dell’agonismo, dicembre è il mese dei ripensamenti e dei progetti, dei “se avessi fatto” e dei “l’anno prossimo voglio”. È il momento in cui, volenti o nolenti, ci si guarda indietro. Come i tennisti, anche noi nella nostra quotidianità ci troviamo spesso di fronte a una pausa, ci troviamo in quel percorso, a quel sentiero che porta alla Caverna oscura. Possiamo ignorarla o possiamo usarla come fanno loro, per esplorare, per capire chi siamo diventati, per ripensare gli obiettivi, anche se non li abbiamo raggiunti. Il modo in cui affrontiamo l’attesa, l’incertezza, i passi falsi, le correzioni, definisce il nostro viaggio. E anche quando tutto sembra fermo, il silenzio è già movimento. Si tratta solo di saperlo ascoltare.
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