Mani mozzate, i testimoni: “Non entrammo in casa per paura”
La corte ascolta il racconto della notte del delitto. Sfilano gli amici e i parenti della vittima, che per primi andarono nella villetta e scoprirono il cadavere
Carla Molinari non aveva alcun rapporto di amicizia con Pippo Piccolomo e non prestava soldi a nessuno. Lo hanno confermato i testimoni interrogati, questa mattina, nell’aula bunker del tribunale di Varese, durante l’udienza del processo contro il presunto killer delle mani mozzate. Davanti al presidente della corte d’assise, Ottavio D’Agostino, hanno sfilato gli amici della vittima, che la sera del delitto, terrorizzati, chiamarono il 118 dopo aver visto la porta d’ingresso socchiusa.
Dalle testimonianze è emerso il quadro di una donna metodica, prudente, che vedeva solo poche selezionate persone, che non aveva alcun grillo per la testa e che non sembra avere avuto contatti con l’aggressore, né in passato, né adesso.
Unico punto in comune il fatto che i fratelli di Piccolomo, noti imbianchini della zona, trent’anni fa avessero lavorato in casa di Carla, attaccando una tappezzeria che successivamente la donna fece asportare perché non le piaceva più. Donna ricca? Non proprio, e comunque solo l’amica e vicina di casa Emma Brunella sapeva che nella viletta di via Dante a Cocquio Trevisago, per le emergenze, teneva dei soldi; ma una cifra che, a suo parere, non andava oltre i mille o duemila euro.
La corte, il pm Luca Petrucci e l’avvocato Simona Bettiati hanno ascoltato per prima la signora Eva Pareti, moglie di un cugino di Carla, e il figlio, Dario Molinari. Quest’ultimo ha chiarito che quella sera chiese agli altri presenti di non entrare in casa perché ebbe paura. Decise di aggirare la villetta e notò, da una fessura tra le tapparelle, la parte inferiore del corpo della zia, con la cerniera dei pantaloni sbocciata; pensò che potesse essere stata violentata: «Non volevo che nessuno entrasse anche per evitare che qualcuno lo facesse per puro piacere personale… la perversione a volte non ha limiti».
Emma Brunella è la vicina di casa che si occupava spesso delle necessità di Carla. La sua deposizione è stata precisissima: orari, abitudini, bisogni della vittima; quando buttava la spazzatura, come apriva il cancello, la diffidenza per gli estranei. Emma era un punto di riferimento per Carla e anche quella mattina era andata a portarle l’acqua. «Ci vedemmo tra le 10 e 30 e le 11 e 30. Era terrorizzata dall’influenza – ha detto – mi chiese se doveva fare un secondo vaccino. Poi il pomeriggio uscìi a fare le mie commissione, fino a quando mi chiamo l’amica di Carla, Zita, intorno alla 20, e mi disse che Carla non le rispondeva al telefono. All’inizio pensai che si fosse addormentata in casa, perché ogni tanto mi diceva che mentre leggeva le veniva da dormire, e invece andai a vedere e notai qualcosa di strano».
La signora Brunella chiamò Eva Pareti, una parente gentile, che aveva un buon rapporto con Carla, e tutti insieme andarono a vedere, raggiunti anche dal marito di Emma, Rodolfo Stocco, dal figlio di Eva, Dario, e da Zita, ovvero Teresina Mantegazza, a sua volta accompagnata dal figlio, Piercosma Turuani.
Zita Mantegazza, coetanea della Molinari, ha spiegato di aver conosciuto la ex tipografa nel 1941 quando erano compagne al collegio Rosetum di Besozzo. Nel 1996, dopo cinquant’anni di oblio, Carla le telefonò a casa. Tornarono amiche, passavano le domeniche insieme, andavano in auto a Laveno, Zita al volante, Carla accanto. Proprio Teresina “Zita” la accompagnò a vedere un ricovero a Varese, vicino alle ville Ponti, dove forse Carla avrebbe voluto finire i suoi giorni. La portò anche dal notaio a Gavirate, dove prese contatti per un testamento che però non face mai. All’amica Emma aveva però accennato che cosa aveva in mente: «Voleva intestare beni a tante persone, a mio figlio ad esempio voleva dare un piccolo bosco in montagna».
Nel pomeriggio parla il capo della squadra mobile Sebastiano Bartolotta, prevista anche la visione del filmato del cadavere. L’imputato è presente in aula.
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