Cosentino: “Lo sviluppo dell’università arriverà dagli studenti”
Per il docente dell'Insubria non saranno tanto le loro tasse universitarie, quanto la capacità di "sollecitare l'Ateneo a garantire un'adeguata offerta didattica"
L’approvazione della cosiddetta "riforma Gelmini" è notizia recente. In realtà stavolta dietro la facciata "riformatrice" non è esagerato dire che si nasconde un tentativo di smantellamento dell’università pubblica, iniziato nel 2008 con la L. 133 che per le università statali riduceva i fondi (un miliardo e mezzo in meno su poco più di sette totali) e introduceva il blocco delle assunzioni e la possibilità di trasformarsi in fondazioni private. Forse dato che nessuna università ha ancora scelto quest’ultima strada, la nuova legge interviene – quasi a "forzare la mano" – prevedendo un nuovo assetto del consiglio di amministrazione, con poteri "assoluti" e che si presta ad "infiltrazioni" politiche e private. Il meccanismo di nomina farà sì che facilmente sia espressione diretta del rettore (e i rettori attuali potranno entrare nei nuovi CdA). Non meraviglia dunque che i più accaniti sostenitori della riforma (e forse anche gli unici) siano stati proprio i rettori, insieme ad alcuni professori ordinari "eccellenti" e a Confindustria, l’organizzazione delle imprese italiane.
Proprio dal mondo dell’impresa, spalleggiato dall’attuale politica, giunge all’università l’accusa principale: la preparazione dei laureati non sarebbe adeguata al mondo del lavoro. Falso: c’è invece in Italia un "eccesso di istruzione", ovvero troppa preparazione rispetto alla domanda di lavoro qualificato. Le imprese italiane innovano poco e vedono la ricerca come costo, riducendo il costo del lavoro (ovvero, i salari) per mantenere la competitività. Non sorprende dunque il gradimento per interventi che alla fine riducano i livelli di istruzione. A questo si aggiunga che la formazione universitaria è potenzialmente un "mercato" del valore di alcuni miliardi di Euro/anno (quasi due milioni di studenti per 1.500,00 Euro/anno in media di tasse di iscrizione) e che la riforma appena approvata abolisce le borse di studio statali e introduce un sistema bancario di prestiti da restituire dopo la laurea, favorendo l’indebitamento "precoce". Eppure l’università italiana, pur essendo tra le meno finanziate tra quelle dei paesi OCSE (con l’1,2% del PIL, davanti unicamente alla Bulgaria), vede i propri ricercatori italiani stabilmente tra i primi dieci al mondo per quantità e qualità delle pubblicazioni e la laurea consente ancora di ottenere una retribuzione superiore rispetto alla scuola media superiore (di circa il 55%, in linea con i principali paesi europei). Eppure, invece di innovare il settore della produzione, si punta a scardinare quello della ricerca e della formazione.
In questo quadro, non è semplice prevedere cosa accadrà nel prossimo decennio. Movimenti quali la Rete 29 Aprile, e il CoNPAss, sono nati recentemente proprio con lo scopo di salvaguardare il sistema universitario italiano e la sua natura pubblica. Nel caso dell’Università dell’Insubria, sviluppo e consolidamento hanno incrociato una crisi di sistema inedita per gravità e per incognite. Nel futuro immediato la sfida sarà dunque adeguarsi alla cosiddetta "riforma" senza snaturare la vocazione di università pubblica, libera e generalista, valorizzando l’attuale sistema di governo che già prevede un ragionevole raccordo istituzionale con i principali stakeholders (amministratori locali e mondo dell’impresa, quest’ultimo per il tramite delle camere di commercio).
Un elemento essenziale del futuro sviluppo dell’Università saranno proprio gli studenti, non soltanto attraverso le tasse universitarie (che pure, a fronte del definanziamento statale, contano sempre di più), ma soprattutto attraverso la capacità oggi – da studenti – di sollecitare l’Ateneo a garantire un’adeguata offerta didattica (che a sua volta impone una valida ricerca) e di servizi (ancora largamente insufficienti) e domani – da laureati – di garantire il raccordo con il tessuto sociale e produttivo. E’ stato opportunamente ricordato che "il compito dell’Università è produrre conoscenze scientifiche usando soldi, mentre le imprese producono soldi usando conoscenze scientifiche". Certo, esistono anche esempi di "università" che i soldi li producono: difficilmente però esse sono in grado di produrre anche ricerca di qualità e laureati di livello. Tutto non si può avere: bisogna aver ben chiari gli obiettivi e quindi perseguirli con costanza e coerenza.
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