I Santana e il caravanserraglio dello spirito
La ricerca di spiritualità del grande Carlos gli fece imboccare una strada nuova

Quando Clive Davis, il potentissimo presidente della Columbia, ascoltò per la prima volta Caravanserai disse “Carlos: è un suicidio per la tua carriera”. D’altra parte l’ho scritto tante volte che i veri artisti si vedevano dal cambiare strada nel pieno del successo: Davis aveva in parte ragione, visto che questo disco ebbe molto meno successo dai precedenti, ma Santana era un artista vero, e non è un caso che questo sia un capolavoro. La carriera non la buttò via di certo, ma i presupposti c’erano: i fans erano abituati alla sua incendiaria mistura di salsa e rock, e lui ti presenta un disco tendente al jazz spirituale di John Coltrane, con soli tre pezzi cantati e con influenze brasiliane con un pezzo composto da Antonio Carlos Jobim. Era stato il giovane batterista Michael Shrieve a portarlo verso il jazz, facendogli sentire oltre a Coltrane due album di Miles Davis che lo colpirono molto: In a silent way e Miles in the sky. Niente Oye como va o Samba pa ti, per intenderci, ma pezzi dilatati di grandissima atmosfera, compreso Song of the wind, il singolo che ne fu tratto, che durava più di sei minuti. Da sentire con calma ed attenzione: è uno dei dischi più importanti della storia del rock.
Curiosità: il titolo deriva da uno scritto del guru Paramahansa Yogananda: “La carovana è l’eterno ciclo della reincarnazione, ogni anima entra ed esce dalla vita, dalla morte alla vita ed avanti così, finché arriva ad un posto in cui può riposare e raggiungere la pace interna. Questo posto è il Caravanserai.”
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