“Io quella tassa l’ho pagata dal 1993 al 1997”. Spuntano i vecchi bollettini per l’assistenza sanitaria dei frontalieri
L'Inps chiedeva di dichiarare lo status di lavoratore frontaliere e poi ti inviava i bollettini. Parla uno di quelli che la pagò: "Mi costò un milione e 800mila lire"

Nicoletta Forni conserva ancora la busta con cui l’Inps gli inviò il primo bollettino da pagare ed è datata 21 agosto 1993. Altri tempi, altra moneta, all’epoca c’erano ancora le lire, ma la ragione per cui chiedevano a suo marito, lavoratore frontaliere, di pagare 183.875 lire, è la stessa che oggi potrebbe utilizzare l’Inps se passa nella manovra finanziaria del governo Meloni: anche i frontalieri devono concorrere al sostegno economico della sanità pubblica italiana.
«All’epoca io lavoravo in un centro di assistenza fiscale – spiega Nicoletta Forni – e quando arrivò la circolare dell’Inps che diceva di comunicare la condizione di lavoratore frontaliere, non esitai un attimo. Dopo il primo bollettino, a distanza di sei mesi ne arrivò un altro, questa volta con un importo di 202.108 lire, in totale fino al 1997 pagammo 1.876.021 lire. La cosa certa è che furono in pochi a pagarla interamente fino all’ultimo bollettino datato 21 luglio del 1997».

Ora si riaffaccia l’ipotesi di questa tassazione, come previsto dall’articolo 50 della bozza della manovra finanziaria del Governo Meloni. I “vecchi frontalieri” dovranno contribuire al mantenimento del Servizio Sanitario Nazionale tramite un’imposta annuale che varierà tra il 3% e il 6% del proprio reddito netto annuo. L’aliquota esatta verrà decisa dalle singole Regioni. «Quell’obbligo di pagamento fu tolto nel 1998 – continua Nicoletta Forni – con un tentativo di reintrodurlo nel 2016 e poi bloccato dall’intervento delle opposizioni e dei sindacati. È vero che i lavoratori frontalieri pagano l’Irpef in Svizzera, ma ricordiamo che in questo modo non possono scaricare nulla: né le visite mediche specialistiche e nemmeno gli interessi nel caso abbiano acceso un mutuo, per fare due esempi comuni. Mi chiedo perché per finanziare la sanità non usino i soldi dei ristorni che ammontano a 107 milioni di franchi».
Il marito di Nicoletta, che lavora ancora come lattoniere in Svizzera, le ricorda sempre che non avrebbe dovuto pagare tutti quei soldi e come monito le ha vietato di buttare via i bollettini versati all’Inps. «Vedremo come finirà – conclude la donna -. Mio marito è in attesa dal 2020 di essere operato a una mano in Italia e aspetta una chiamata dall’ospedale. Nel frattempo è stato operato con successo in Svizzera».
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