Eolo porta il lavoro in carcere: il racconto di Luca Spada alla Varese Design Week

Dal palco dell’evento a Miogni, l’imprenditore varesino racconta un modello di reinserimento che unisce impresa e solidarietà

Un opera d’arte in cella ai miogni con la varese design week

(Nella foto: Luca Spada a sinistra, con il prefetto pasquariello e la direttrice del carcere di Varese Santandrea)

Al carcere di Miogni, le sbarre si sono illuminate di nuove prospettive. Durante la Varese Design Week, nell’evento dedicato all’installazione “Luce Vera”, Luca Spada ha svelato come la sua azienda sia riuscita a trasformare un luogo di pena in un laboratorio di futuro, offrendo ai detenuti non solo lavoro, ma una vera possibilità di rinascita.

«La mia azienda, che si occupa principalmente di connessione internet, è nata per risolvere un mio problema personale di connessione: io abito a Casciago, uno dei tanti piccoli comuni penalizzati allora dal digital divide. Ho ideato il metodo per bypassare il problema, e ora la società è passata da un cliente – io – a 700mila», racconta Luca Spada, amministratore delegato di Eolo, spiegando le origini della sua azienda telefonica e di connessione internet.

Per dare impulso a uno dei settori dell’azienda, Spada ha scelto di andare oltre i pregiudizi e rivolgersi a un carcere: «E’ successo poco prima del covid: sono andato al carcere di Bollate con l’idea iniziale di trovare tre operatori di call center. Li ho trovati, ma il successo del progetto è stato tale che la proposta si è sempre più allargata, e ora a Bollate lavorano per noi in 40. Inoltre, abbiamo replicato l’esperimento anche nel carcere di Vigevano, che ora vede al lavoro per noi altre 10 persone».

Per l’azienda, il progetto ha portato vantaggi anche dal punto di vista qualitativo: «Per chi è in libertà quello del call center non è “il lavoro dei sogni”, lo si fa come ripiego, o come primo lavoro quando si è giovani – spiega Spada – Ma per un detenuto passare sei ore nel call center è la parte migliore della giornata, perché gli permette di relazionarsi, anche se solo al telefono, con decine e decine di persone nuove ogni volta, una sensazione che fa sentire vivi. Per questo tra gli operatori detenuti c’è una grande passione nel lavoro, superiore agli altri operatori».

La Legge Smuraglia: un’opportunità poco sfruttata

Spada ha sottolineato anche un altro vantaggio per la sua azienda, quello rappresentato dai contributi della legge Smuraglia: «La legge fornisce contributi significativi agli imprenditori che assumono detenuti ed ex detenuti: si tratta di benefici importanti, ma malgrado ciò ancora questa possibilità viene sfruttata in modo marginale». In realtà: «Quando la racconto ai colleghi imprenditori, nella maggior parte dei casi non hanno la minima idea di avere queste possibilità»

Per Eolo non si tratta solo di vantaggi economici: «Per noi non è solo un beneficio economico, ma anche una maggiore qualità del servizio. Un risultato vincente per i detenuti, per le aziende, per l’amministrazione carceraria».

Forte del successo ottenuto, Spada annuncia i progetti futuri: «Ora stiamo pensando di replicare lo stesso progetto nel centro e sud Italia. Va detto però che questa è un’operazione che ha bisogno di alcuni requisiti minimi: innanzitutto degli spazi adatti, poi una cooperativa che gestisca l’attività con i detenuti».

Spada sottolinea comunque il valore sociale della formazione lavorativa in carcere: «La prima cosa che si trova davanti chi esce dal carcere sono i debiti, una rete sociale persa e una formazione lavorativa tutta da rifare. Uscire senza alcun aiuto significa tornare in carcere dopo poco tempo: i dati dicono che il 70% dei detenuti torna in carcere dopo la sua uscita. Ma è impressionante il dato relativo ai detenuti che hanno ricevuto una formazione lavorativa in carcere: tra queste persone la percentuale di recidiva crolla dal 70% al 2%».

Un po’ come è successo a Gianni, che ha cominciato a lavorare con Eolo da detenuto, e uscendo dal carcere ha avuto una nuova possibilità: «Quando è stato scarcerato, dopo 20 anni, lo abbiamo assunto: ora lavora nel call center di Busto Arsizio e forma altri detenuti. È bravissimo, ma ogni volta che mi vede piange di gioia».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Settembre 2025
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