«La vittoria in Spagna avrebbe evitato la Seconda Guerra Mondiale»
La storia del comandante Giovanni Pesce è diventata un film che sarà presentato a Venezia. Feltrinelli, per l'occasione, ha deciso di ristampare il suo libro "Senza Tregua"
Aveva solo 17 anni quando le parole infuocate della pasionaria Dolores Ibarruri lo convinsero ad arruolarsi nelle brigate internazionali per andare a combattere in Spagna, contro i falangisti di Francisco Franco. Giovanni Pesce era abituato alle partenze necessarie, quelle per la vita, come era accaduto qualche anno prima, quando i suoi genitori avevano deciso di lasciare la piccola Visone D’Acqui (Alessandria) per cercare un po’ di fortuna nella vicina Francia.
La miniera a poco più di tredici anni, l’iscrizione al partito comunista e l’arruolamento a diciotto nella Brigata Garibaldi, per combattere nella guerra civile spagnola, dove viene ferito gravemente per ben tre volte. Il ritorno in Italia, il confino e la Resistenza contro i nazifascisti, dove si distingue al punto da essere proclamato eroe nazionale e medaglia d’oro. Una vita straordinaria che ora è diventata un film grazie al regista varesino Marco Pozzi. (sopra: Giovanni Pesce e la moglie Nori in una foto degli anni ’50)
Pesce, si aspettava che la sua storia finisse al festival del cinema di Venezia?
«No, è stata anche per me una sorpresa. L’ho visto per la prima volta ieri sera da un amico e solo qualche giorno fa mi hanno avvisato della partecipazione al festival».
Le è piaciuto?
«Sì, è la storia della mia vita e di mia moglie Nori. E comunque sono contento perché è un’occasione per parlare della Resistenza».
C’è qualche parte del film che lei avrebbe trattato diversamente?
«Mi sarei soffermato di più sulla guerra civile spagnola, perché il significato di quella guerra ha una portata politica, culturale e morale notevole. Le forze democratiche che combattevano contro i fascisti di Franco erano portatrici di una causa dell’umanità. Non è un caso che arrivarono volontari da tutto il mondo, quattromila solo dall’Italia, perché c’era una coscienza morale, politica e collettiva che sentiva l’esistenza di un pericolo ben più grave. Se in Spagna avessimo vinto noi, la Seconda Guerra Mondiale non sarebbe mai scoppiata».
Ha visto il film di Ken Loach "Terra e libertà"?
«Sì, però in quel film c’è una visione troppo individualista della guerra di Spagna, non fu proprio così. Comunque è vero che la guerra contro un esercito regolare non la si puo’ vincere con tanti gruppi divisi tra loro».
Lei cosa ricorda di quella guerra?
«La speranza di vincere, nessuno combatte per perdere. Sono l’unico sopravvissuto, ma penso spesso a compagni come Elio Barontini o Domenico Tomà , che poi daranno un contributo fondamentale alla Resistenza. Erano persone semplici e di un coraggio straordinario».
Memoria e pacificazione. Queste due parole secondo lei possono andare d’accordo?
«Siamo in una fase in cui i giovani non si occupano della memoria storica. C’è una sottovalutazione anche della sinistra, che non capisce che senza memoria non c’è vita. Il termine pacificazione non mi piace perché è sbagliato. Ai tempi del fascismo e dell’occupazione nazista, ciascuno fece la propria scelta. Quindi ognuno ha la sua storia ed è irrispettoso nei confronti di tutti quelli che hanno combattuto».
Per dodici anni lei è stato consigliere comunale a Milano. Come giudica la politica oggi?
«Oggi manca il rispetto tra le parti. Io ricordo che le differenze politiche non precludevano rapporti di amicizia. Tra i miei migliori amici c’erano alcuni consiglieri democristiani, con cui ci si trovava a casa mia, al mare. Altri tempi».
Il suo libro "Senza Tregua" non è stato rieditato per molti anni. Perché?
«Dovrebbe chiederlo all’editore. A proposito, ho parlato proprio oggi con la Feltrinelli e per l’occasione verrà ristampato».
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