Di Aids si muore ancora

In occasione della Giornata Mondiale, Asl, ospedale, Informagiovani e associazioni ricordano l'importanza della prevenzione. Lo scorso anno, le infezioni sono aumentate del 263%

Il prossimo 1 dicembre si celebra la Giornata Mondiale contro l’Aids. Una ricorrenza istituita nel 1988 quando questa malattia veniva considerata la peste del ventesimo secolo. Oggi, a distanza di vent’anni, l’attenzione sul virus Hiv è molto diminuito. Le precauzioni fanno parte di un bagaglio di conoscenze che trovano, però, scarsa attenzione. La sensibilità sul tema, da parte di giovani e adulti, è limitata dal fatto che “Oggi di Aids non si muore più!”. 


Eppure i dati descrivono una realtà diversa: la Lombardia registra oggi un’incidenza di 2,5 nuovi casi ogni 100.000 residenti, mentre a Varese l’incidenza è leggermente più elevata (2,8). I malati hanno un’età media compresa tra i 35 e i 50 anni, dato giustificato sia dalla latenza decennale della patologia sia dall’azione dei farmaci che fanno slittare l’insorgere dell’Aids. 
«In provincia di Varese – racconta la dottoressa Franca Sambo del Dipartimento della Prevenzione dell’Asl – nel 2012 si sono registrate 24 nuove malattie: si tratta per lo più di uomini ( 20).  Più numerosi, chiaramente, i contagi con 92 nuove diagnosi lo scorso anno e un aumento del 263% rispetto al 2011. Il metodo di trasmissione più comune rimane quello sessuale ( 78,8%), con un’accentuazione tra gli omosessuali». 


Il problema più grande è la minor sensibilità sugli effetti di questa malattia: « C’è una grande superficialità – spiega il professor Paolo Grossi, primario di infettivologia all’ospedale di Circolo – Si ritiene che le precauzioni siano superflue dato che l’Aids oggi si può curare. Abbiamo avuto casi di persone che volutamente hanno rischiato rapporti pericolosi per poter condividere tutto con il partner. Discorsi allucinanti che dimostrano la scarsa conoscenza che si ha dell’Hiv».
 
Oggi ci sono farmaci retrovirali efficaci, ma il virus costringe a una vita da “malato cronico”, che dovrà ricorrere ai medicinali per tutta la vita, con un progressivo deterioramento della condizioni fisiche.
 
Poche precauzioni vengono adottate dai giovani, ragazzi e ragazzini adolescenti che  riservano scarsa attenzione alla malattia: « Con i nostri progetti “Leonerd” – spiega Elena Emilitri, responsabile del servizio Informagiovani – cerchiamo di raggiungere i ragazzi con un’informazione puntuale sulla malattia ma anche sugli indirizzi degli ambulatori MTS del territorio. E se da un lato, i locali pubblici a cui diamo le nostre tovagliette di carta sono molto interessati, i giovani sono decisamente più restii a informarsi, come se l’Aids rimanesse un tabù, un argomento che non li riguardi. Dicono di sapere già tutto e si dileguano».
 
Sanno tutto, ma fanno poco come confermano i risultati dell’attività della cooperativa “Lotta contro l’emarginazione” che promuove la cultura della salute fuori dai locali di aggregazione giovanile: « Dai nostri sondaggi fatti a 25.000 ragazzi – racconta Manuele Battaggi – è emerso che il 57,9% degli intervistati ha avuto almeno un rapporto non protetto e che solo il 30% dei giovani tra i 18 e i 30 anni ha fatto un test Hiv. Il restante 30% lo ha fatto per poter donare il sangue». 
 
Investire sui giovani, dunque, sembra essere una missione impossibile: « Meglio coinvolgere tutta la famiglia – spiega Paolo Bonfanti dell’Associazione L’Albero – Noi lavoriamo con la scuola ma ci rendiamo conto che non sono solo i ragazzi a dover essere coinvolti. La prevenzione deve passare dalla sensibilizzazione di tutti».
Tra i ragazzi, per esempio, è più facile ottenere attenzione parlando di malattie in generale: « Otteniamo più risposte se affrontiamo le malattie tipo la sifilide, la gonorrea o l’herpes vaginale. Ecco perchè, di solito, partiamo da queste patologie per arrivare a trattare l’Hiv» rileva Paolo Bonfanti.
 
E proprio questa scarsa considerazione del pericolo porta a sottovalutare i controlli: « Arrivano da noi quando la malattia è conclamata – rivela il professor Grossi – e solo perchè hanno sintomi che le medicine tradizionali non riescono a guarire: bronchiti che non passano o mononucleosi oppure linfomi. Vengono ricoverati dopo diversi tentativi di cura inefficaci da parte del proprio medico. Così si scopre la vera origine delle patologie. E, a volte, non c’è più nulla da fare»
 
Superficialità ma anche cambiamenti della morale comune sono alla base dei nuovi contagi: « La fedeltà non è un valore – commenta il primario infettivologo – Sia tra gli omosessuali sia tra gli eterosessuali si assiste a una maggiore libertà di rapporti. Per questo occorrerebbe maggiore attenzione. L’Aids rimane, comunque, una malattia i cui costi sociali sono molto elevati: lo scorso anno, a livello lombardo, sono stati spesi 200 milioni di euro per i farmaci retrovirali. Di questi 23 sono nel bilancio della provincia varesina. Dobbiamo, poi, fare i conti con una società che se, da una parte minimizza i rischi, dall’altra è ancora portata a discriminare i malati».

Domenica 1 dicembre, quindi la cooperativa "Lotta contro l’emarginazione" sarà in piazza Monte Grappa con un banchetto informativo dalle 10 alle 16, mentre il 29 e il 30 novembre  farà opera di sensibilizzazione fuori dai locali pubblici del territorio.

 
L’Aids, dunque, deve fare ancora paura: forse non si muore più tutti. Ma si muore. 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Novembre 2013
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