La bellezza americana dei Grateful Dead
Il “secondo volume” del loro progetto acustico

Solo pochi mesi fa avevamo parlato di quel capolavoro spartiacque che è Workingman’s Dead, e subito i Grateful diedero alle stampe il suo successore, almeno altrettanto bello: sia per similitudine fra loro che per il fatto che poi il genere cambierà ancora, si può quasi parlare di un volume uno e volume due.
Pare che la fretta nel fare uscire un altro disco dipendesse anche dal fatto che il loro manager Lenny Hart, padre del batterista Mickey, avesse rinnovato il contratto con la Warner a loro insaputa e fosse poi scappato con gran parte della cassa, lasciandoli in bolletta.
Rispetto a Workingman questo disco è tendenzialmente più acustico e ancora meno centrato sulla chitarra solista di Jerry Garcia, che spesso contribuisce sedendosi alla pedal steel, e vi è da notare anche che rispetto ai soliti autori Garcia/Hunter anche gli altri membri della band compongono. E lo fanno con qualità: basti sentire Box Of Rain di Phil Lesh o Sugar Magnolia di Bob Weir! Peraltro, rispetto ai Dead del passato, l’immediatezza di questi pezzi li rende molto graditi alle radio FM, e grazie a ciò anche i risultati di vendita migliorano: intendiamoci, non erano un gruppo da Top Ten, ma nel giro di qualche anno diventò disco d’oro. Un disco pieno di classici che resteranno stabili nel loro repertorio live.
Curiosità: il ritornello di Truckin’ si chiude con una frase che diventerà il simbolo dei loro fan, i famosi Deadheads: “What a long strange trip it’s been”, con quel trip riferito, almeno in apparenza, ai viaggi dei camionisti. Pare che in molti, vivendola come una sorta di sintesi della propria vita, la vogliano incisa sulla propria lapide…
Per sentire l’intero album:
La rubrica 50 anni fa la musica
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