Scoprire a tavola la vera storia dell’agricoltura varesina
Storia di una cronaca che non si racconta mai: un pranzo sociale post assemblea. Che racconta molto della storia rurale della provincia
Non sono cose che di solito si dicono. Ma in questo caso è necessario fare uno strappo: perché raccontare il pranzo sociale dell’Unione Agricoltori, che si svolge subito dopo la loro assemblea annuale, è anche un modo per raccontare di certi tesori nascosti del Varesotto, che per loro natura non si mettono in vetrina ma che rappresentano futuro e memoria storica di un pezzo, quello rurale, della provincia.
Non me lo perderei per niente al mondo il menu, servito nell’agriturismo di uno degli associati più famosi (Giorgio Stabilini, "patron" del Gaggio di Galliate Lombardo e conduttore della più antica trasmissione sull’agricoltura locale) e realizzato con ingredienti portati dagli associati: nello specifico dell’edizione 2006, i formaggi e salamini di capra di Curiglia, il radicchio di Casbeno, le patate di Uboldo, i vini di Golasecca, l’oca del Gaggio. Tutte grandi scoperte e ingredienti che inorgogliscono.
Ma, soprattutto, non mi perderei per nulla al mondo il vedere radunate in un pranzo alcune delle storie più belle dell’agricoltura varesina. Storie di tradizione o di rottura, di management agricolo e di antica nobiltà: ogni anno ce n’è una nuova.
Come quella del Carlo Motti, che di suo fa l’elettrauto, ma che è famoso come il barbuto agricoltore di Mesenzana, che parla solo in dialetto e più di una volta ha fatto la polenta a Bossi. O quella del conte di Belgioioso, che ha da sempre intorno alla sua villa – come la storia delle ville patrizie insegna – l’antica azienda agricola.
O del Bellorini, produttore di pulcini, messo in ginocchio dall’aviaria, che la prende sul ridere quando gli si chiede come va: "come va? Bene. Non ho nemmeno gli occhi per piangere…". O ancora il Mottalini, giovane apicoltore di Brebbia che oltre a produrre il raro miele di tiglio fa anche il prestigiatore per hobby. E non parliamo poi di Andrea Tovaglieri (nella foto sopra), che produce il vino varesino a Golasecca: un vero manager agrario che ha prodotto il primo vino varesino segnalato dai critici (Paolo Massobrio, nello specifico).
Ma la storia dell’anno è una storia vecchia, degli anni 70, che per qualcuno però non è stata un fuoco di paglia di quei tempi rivoluzionari: è la storia di Piero, la frazione di Curiglia “rinata” nei primi anni settanta. A darne uno stralcio è stato Primo Primieri (nella foto a fianco), che dal vicolo dei lavandai a Milano è arrivato su per le valli del luinese seguendo uno di quei percorsi bizzarri della vita e che poi, finito il tempo degli hippy, è rimasto e diventato un mestiere e una famiglia: «A Milano ho fatto il meccanico e l’edicolante, qui ho imparato tutto daccapo: a conoscere le piante e ad allevare le capre. Poi mi sono sposato, con una ragazza di Curiglia, e ora vivo a Piero con due figli di 16 e 20 anni».
Primieri è noto come la sua azienda agricola Kedo, che è della moglie ma a cui lui lavora, che «sembra un nome esotico, ma è quello di un alpeggio sopra Curiglia». La sua passione per il lavoro e la promozione dell’allevamento caprino l’ha portato a diventare responsabile regionale di Confagricoltura per il settore: lui però resta il Primo Primieri di quando ha ripulito dai rovi il paese abbandonato insieme ai suoi amici, e la sua più grande soddisfazione è quando si apprezza la sua toma di vacca, messa come "dulcis in fundo" persino dopo la torta al cioccolato, per lasciare un buon sapore in bocca. Perchè "la buca l’è mai straca, sa la sa mia de vaca", come ci tengono a farmi sapere…
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