Quando a Gallarate e Busto c’erano i tram
Nell’ottobre del 1951 l’ultimo viaggio del tram STIE che collegava Gallarate con Busto, Milano, Cassano e Samarate. Utile per gli spostamenti locali, ma anche per le merci
A salutarlo per l’ultima volta, all’inizio di ottobre del 1951, c’erano poche persone. Nulla a che vedere con la malinconica festa d’addio che centinaia di milanesi fecero, sei anni più tardi, al gambadelegn Milano-Magenta, lo sbuffante e famosissimo tram a vapore che partiva da corso Vercelli (nella foto a sinistra). Il tram STIE se ne andò senza clamore, sostituito da "moderni" autobus a gasolio, che dal 1° ottobre presero in carico il trasporto pubblico verso Milano e Lonate Pozzolo.
In origine era un gambadelegn, trainato da una lenta e sbuffante locomotiva a vapore. Veniva da Milano, dall’Arco della Pace, e dopo un viaggio di tre ore finalmente andava a riposarsi nella piccola stazione tranviaria di piazza san Lorenzo. Quando lo inaugurarono, nel 1881, Gallarate e Busto Arsizio erano ancora in provincia di Milano, mandamenti del cosiddetto alto milanese. Nel 1915 divenne un tram elettrico, mentre negli anni trenta i binari furono prolungati fino a Cassano Magnano prima e fino a Samarate e Lonate Pozzolo poi. Nell’Ottocento era gestito da una società belga, poi dal 1912 passò alla STIE, la società ancor oggi esistente che gestisce gli autobus extraurbani.
Il tram da Milano a Busto Arsizio seguiva fedelmente la statale del Sempione, il binario era posato a lato della strada e serviva molti abitati lontani dalla ferrovia Milano-Gallarate-Varese. A Busto il tram lasciava la statale, toccava le piazze che oggi si chiamano Trento e Trieste e De Gasperi, sfilava accanto alla mole della chiesa di San Michele e proseguiva su via Quintino Sella e poi, fuori città, su un tratto in sede propria -come una ferrovia-, che dopo la soppressione divenne viale Repubblica. Tornato sul Sempione, fermava davanti al santuario di Madonna in Campagna e infine raggiungeva piazza san Lorenzo, dove si trovava la stazione tranviaria. Il prolungamento su Cassano Magnago proseguiva poi toccando Cascinetta e Cedrate, mentre quello per Lonate Pozzolo toccava Verghera, Samarate, san Macario e Ferno: più della metà dei 12 chilometri da Gallarate a Lonate erano in sede propria, che consentiva discrete velocità senza intralciare il traffico automobilistico (nella foto, la stazione di Lonate). Oggi non rimane più nulla, i tratti in sede propria sono diventate nuove strade e anche la vecchia stazione di Gallarate è stata abbattuta pochi anni fa, sostituita da un complesso di condomini.
«Ho viaggiato per anni sul tram, andavo a scuola tutte le mattine a Gallarate» ricorda una donna fernese. Perché il tram serviva soprattutto per gli spostamenti locali: dai paesi circostanti verso Gallarate, Busto e Legnano, ma anche dai paesi dell’asse del Sempione (San Lorenzo, San Vittore Olona, Nerviano…) verso Milano. Tutto traffico che in seguito si è rovesciato sulle strade e sulle ferrovie FS e FNM, portandole al collasso a partire dagli anni settanta, fino ad oggi. E’ successo così in tutta Italia, quando negli anni cinquanta e sessanta furono “tagliate” decine di linee ferroviarie e tranviarie oggi rimpiante. Un esempio per tutti: la Varese-Como delle FNM, che oggi si vuole ricostruire con investimenti milionari.
L’idea di un tram fuori dalle grandi città ci sembra strana, ma in Germania esistono diverse città con reti extraurbane di tutto rispetto, ammodernate nel tempo e dotate di tram moderni e silenziosi. Senza contare che sul tratto Gallarate-Lonate si svolgeva anche servizio merci al servizio delle aziende locali, sfruttando il fatto che la maggior parte del percorso era separato dalle strade: oggi le merci viaggiano su gomma, mentre le cisterne ferroviarie di prodotti chimici (che venendo dall’estero viaggiano obbligatoriamente su ferro) vengono trasportate fino a Samarate sopra speciali rimorchi stradali. Piuttosto lenti, come sa chiunque si sia trovato in coda dietro una delle grandi cisterne bianco-arancio.
Alla tramvia Milano-Gallarate è dedicato il libro omonimo di Albè, Boreani, Dall’Olio. Si ringrazia Guido Boreani per aver concesso le immagini storiche.
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