Ucciso e sepolto, fermato il vicino di casa
Le accuse: era armato e aveva rimproverato all'amico il furto di un quantitativo di marijuana
Il delitto della porta accanto, dei vicini da morire. La mano insanguinata che avrebbe sparato a Roberto Colombo e seppellito in un bosco il cadavere, sarebbe quella di Emiliano Cerutti, 36 anni, amico e dirimpettaio della vittima. Lo sostengono i carabinieri e la procura di Varese che, dal 24 di settembre, indagano sulla scomparsa dell’uomo.
Il gip Stefano Sala in serata ha disposto la misura cautelare in carcere, anche se non ha convalidato il fermo. Significa che l’uomo rimarrà in una cella perché i gravi indizi sussistono, anche se quando è stato fermato non è provato che vi fosse un concreto pericolo di fuga. Poco cambia. Cerutti in realtà si trovava da un po’ di tempo dietro le sbarre perché i carabinieri lo avevano trovato con delle piante di marijuana. Per gli effetti della sentenza che ha affossato la legge Fini Giovanardi doveva tornarsene a casa sabato, ma è stato fermato poco oltre le porte del carcere.
La droga è importante in questa storia.
Il movente del delitto, secondo il pm che sta indagando, Giulia Troina, sarebbe un furto di piantine che il 36enne attribuiva a Colombo. Per questo avrebbe deciso di fargliela pagare, attirandolo nel bosco e sparandogli due colpi di pistola in testa. I conoscenti sono stati lungamente interrogati e hanno confermato che Cerutti aveva detto a molte persone di possedere un’arma, vantandosi di saperla usare. Un altro elemento importante per gli inquirenti è il seguente: dopo la scomparsa della vittima, il sospetto omicidia si recò nel bar del paese e, con gli occhi spiritati, affermò di aver commesso una sciocchezza.
In più, alcuni hanno aggiunto che tra i due erano nati dissapori per dei lavori di giardinaggio a pagamento che Colombo aveva ottenuto da conoscenti comuni.
La cornice del delitto sembrerebbe questa, inoltre gli inquirenti hanno anche ascoltato delle intercettazioni dal carcere che sembrerebbero interessanti. Cerutti è difeso dagli avvocati Paolo Bossi e Marco Lacchin.
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