Caos rifiuti, l’imprenditore: “Io vittima della mafia”
I comuni di Induno Olona, Arcisate, Porto Ceresio, Cunardo e Cugliate Fabiasco si trovano a gestire una situazione difficile che ha coinvolto l'azienda per la gestione dei rifiuti. Preoccupazione per 32 lavoratori
La partita sulla raccolta rifiuti, che coinvolge i comuni di Induno Olona, Arcisate, Porto Ceresio, Cunardo e Cugliate Fabiasco, è più complicata di quel che sembra. La vicenda riguarda almeno tre fronti che subiscono le conseguenze dell’interdittiva prefettizia antimafia spiccato dalla prefettura di Ragusa nei confronti della ditta siciliana Eco Seib: i sindaci, i lavoratori e l’azienda stessa.
Puntualizziamo fin da subito che i comuni della provincia di Varese coinvolti subiscono di riflesso le conseguenze di una vicenda che è tutta siciliana e che si è ripercossa a queste latitudini in forza del provvedimento prefettizio di Ragusa, un’interdittiva che blocca di fatto ogni rapporto della pubblica amministrazione con l’azienda Eco Seib Srl, titolare di appalti anche in molti altri comuni d’Italia. (LEGGI L’ARTICOLO)
Per una questione di precedenza territoriale ci preme raccontare per prima la situazione che riguarda i lavoratori varesini dell’azienda e quella dei sindaci e dei loro cittadini.
L’azienda in questione, infatti, si trova in provincia di Ragusa ma avendo appalti in molti comuni anche nel resto d’Italia ha per forza di cose del personale impiegato anche localmente: sono gli operatori che si occupano materialmente e quotidianamente della gestione dei rifiuti.
In provincia di Varese sono ben 32 i varesini impiegati dalla Eco Seib che da diversi anni svolgono regolarmente le proprie mansioni nei comuni dove l’azienda si è aggiudicata l’appalto. Per loro le prospettive non sono rosee visto che l’interdittiva, se non intervengono altre decisioni, obbliga i comuni a risolvere i contratti d’appalto e quindi a dover cercare altrove il servizio di raccolta.
La questione occupazionale è uno degli aspetti cruciali che si trovano ora sul tavolo dei sindaci. Proprio i primi cittadini stanno ragionando in questi giorni ad una mediazione che contempli l’attenzione per i lavoratori, la garanzia di continuità di un servizio imprescindibile per i comuni e l’adempimento degli obblighi imposti dal provvedimento di interdittiva che avendo tolto il “patentino antimafia” all’azienda ne preclude i rapporti con le pubbliche amministrazioni.
E qui viene la vicenda siciliana che ha coinvolto l’azienda Eco Seib, oggetto nei mesi scorsi di un’operazione della Dda antimafia che ha portato all’arresto di alcuni dei suoi dipendenti in provincia di Ragusa. È nell’ambito di quelle indagini che la prefettura del capoluogo potrebbe aver deciso di spiccare l’interdittiva antimafia.
In seguito al primo articolo sulla vicenda ci ha contatto infatti l’amministratore unico della Eco Seib, Giuseppe Busso, annunciando in primis la volontà degli amministratori di fare ricorso al Tar contro il provvedimento prefettizio per bloccarne gli effetti.
Busso, che ha un processo in corso per altre vicende, ha voluto specificare i contorni di questi ultimi fatti che lo hanno coinvolto, visti naturalmente dal suo punto di vista.
«Mi trovo immerso in una situazione paradossale che da giorni mi ha precipitato in un incubo – spiega l’amministratore unico della Eco Seib -. Io da sette anni opero anche al nord e ho sempre fatto il lavoro con diligenza, dignità e professionalità ottenendo risultati riconosciuti dai miei clienti senza mai avere contestazioni da parte degli enti». Ma ecco come spiega la storia Busso: «Io abito e lavoro in Sicilia da sempre, prima come poliziotto e ora da imprenditore. Spesso però me ne vergogno a causa del clima omertoso che vige nella mia terra. Non è però il mio caso poiché quando mi sono accorto delle infiltrazioni nella mia azienda ho denunciato e collaborato con la Dda nell’operazione che ha portato all’arresto di alcuni miei dipendenti. Io me li sono trovati come operai: sono stato ricattato, minacciato di morte, ho messo a repentaglio la mia vita ma ho deciso di collaborare e grazie anche alla mia collaborazione queste persone sono state arrestate. Ora, però, mi ritrovo in un altro incubo: dopo essere stato collaboratore di giustizia come parte offesa mi vedo piombare addosso anche questo provvedimento. Io ho creduto e credo nella giustizia e sono pronto a fare ricorso e a fornire a tutti gli enti gli atti e le carte che spiegano la mia posizione. Sono situazioni che non auguri di vivere a nessuno ma sono convinto che verrà fatta chiarezza prestissimo, forse già dall’inzio della prossima settimana».
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