Ilaria e Carmen: “Il tumore fa paura ma si deve lottare”

Venti anni, la vita piena di sogni e progetti, si ritrovano catapultate nel baratro della malattia. Un'esperienza che le ha rese più forti e più attente a chi oggi soffre

chemioterapia

A vent’anni non ci si pensa. La vita è solo speranza e progetti. La malattia, no, non può avere spazio. Ma la giovinezza non è un periodo immune: ci si può ritrovare da un giorno all’altro scaraventati in un incubo.

La storia di Carmen e di Ilaria sono pressoché identiche: entrambe ventenni, entrambe impegnate a inseguire i propri obiettivi, si sono viste catapultate in una storia di dolore e sofferenza.  L’esperienza dolorosa le ha segnate profondamente costringendole a crescere velocemente e a capire cosa è davvero importante nella vita.

Oggi sono tutte e due volontarie di AIL, l’associazione che sostiene il reparto di ematologia. La loro è una storia di tumore leucemia mieloide acuta nel caso di Ilaria e linfoma di Hodgkins in quello di Carmen

volontarie ail

« Era il 2013, avevo 24 anni e mi dovevo laureare. Continuavo a dimagrire e non capivo la ragione – ricorda Carmen – mi sentivo stanca. Poi un grosso nodulo mi è apparso sul collo. Ho iniziato a fare gli esami su esami. Io non riuscivo a capire. Forse non volevo. Un giorno mi hanno chiamato a casa dal reparto di ematologia di Varese convocandomi subito. È stato lì, seduta in quello studio medico che ho capito la gravità della mia condizione: mi parlavano di chemioterapia, di capelli che cadevano, di “farsi forza che la malattia era allo stadio iniziale”..»

Carmen ricorda quel momento di paura e poi più nulla: i mesi, tra giugno e agosto, trascorsi in day hospital e poi a casa a contare i minuti fissando il soffitto mentre il dolore paralizzava il suo corpo sono quasi cancellati da quella capacità che ha la natura umana di schermarsi dalla sofferenza.

volontarie ail

Un ricordo vivido che, invece, Ilaria ha ben impresso nella memoria: « Era l’estate del 2000, quando il mio medico capì che i valori dei miei esami del sangue erano sballati. Mi costrinse a farli e rifarli più volte mentre io, presa dai miei 26 anni e dai progetti di un viaggio in Irlanda, mi infastidivo al solo sentirlo. Invece aveva ragione lui. E ho capito in che baratro fossi caduta quando, nell’estate del 2000 mi hanno rinchiuso in una camera sterile dell’ospedale di Gallarate. Lontano da tutto e da tutti. Bloccata in quella stanza asettica, in pigiama, ad affrontare tre cicli di chemioterapia e un trapianto autologo di cellule staminali, ne sono uscita solo a febbraio quando sono tornata a casa anche se dovevo rientrare ogni due giorni per le cure in day hospital. Un incubo che si è concluso solo a maggio quando sono uscita a mangiare una pizza con i miei amici..».

Carmen e Ilaria ricordano con angoscia quei momenti vissuti sempre rimanendo accanitamente attaccate alla vita: « È lo spirito di conservazione che ti permette di non cedere e di guardare oltre» commenta Ilaria che in quei momenti di dolore ha preparato l’orale del concorso per insegnare a scuola. Ed è stata l’idea della carriera universitaria a spingere Carmen a riprendere la vita: « Dovevo fare uno stage prima di iscrivermi alla laurea specialistica. Per un caso fortuito ho trovato la possibilità di fare questa esperienza nella biblioteca di Sesto Calende dove ho catalogato i libri. È stato un momento importante perché mi sono sentita utile e di nuovo viva».

Aggrappate alla vita e al futuro, Carmen e Ilaria oggi sono volontarie per testimoniare che vale sempre la pena lottare : « Ognuno ha la propria storia – commenta Ilaria – e non sempre si vede la luce alla fine del baratro. Ma è comunque una battaglia che va affrontata con grinta. Questa malattia mi ha fatto capire anche chi sono i veri amici: ancora oggi i miei punti di riferimento sono coloro che, nella mia malattia, mi sono sempre stati vicino».

Carmen ha portato la sua testimonianza in reparto: « Io ho ricevuto molto dall’equipe del professor Passamonti e mi sento di dover restituire a quanti, oggi, affrontano ciò che ho vissuto. Quando ero in day hospital ho sentito la mancanza di una figura che mi aiutasse a superare la paura e l’angoscia: i medici sono meravigliosi, ma, a volte, hai bisogno di riconoscerti nella persona che hai davanti, che deve saper condividere le emozioni. Io l’ho fatto e sono riuscita a costruire relazioni importanti. In queste mura la paura è una compagna fissa: ma c’è spazio anche per la solidarietà, la condivisione»

Ed è la condivisione e la presenza al fianco di chi soffre che ha indotto Ilaria a mettere da parte la sua paura : « Essere presenti, testimoni di vita, pronti a diventare un sostegno a cui appoggiarsi è il mio modo per restituire ciò che ho avuto dal dotto Ghiringhelli e dalla dottoressa Butti. Per ora sono attiva ai banchetti per la raccolta di fondi ma ovunque sarà richiesta la mia presenza ci sarò. Accanto a chi soffre, a sostegno di chi lotta».

Questa sera, martedì 23 febbraio, Ail festeggia i suoi volontari e sostenitori con una festa nella sala dei Monelli della Motta

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 23 Febbraio 2016
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