I fratelli Chiaravalli contestano la sentenza: “Nessuna frode fiscale”
La condanna per sottrazione fraudolenta di beni al fisco è contestata punto per punto dai legali dei due imprenditori di Cavaria che annunciano l'impugnazione della sentenza in appello
AGGIORNAMENTO: inerente ad una vicenda giudiziaria risalente al periodo 2009/2011 e conclusasi con la sentenza di assoluzione dei consiglieri di amministrazione della Chiaravalli Group spa, emessa in data 18.10.2018, dalla Corte D’Appello di Milano.
I fratelli Anna e Mario Chiaravalli difendono il buon nome di un’azienda storica e importante come la Chiaravalli di Cavaria con Premezzo, in relazione alla condanna comminata dal Tribunale di Busto Arsizio, ritengono necessario e doveroso, al fine di una corretta informazione, che vengano forniti i seguenti chiarimenti attraverso i difensori Cesare Cicorella e Stefano Bettinelli:
«Nessuna frode è stata posta in essere, nè accertata, a loro carico. La vicenda per la quale si è celebrato il processo a Busto Arsizio, è relativa alla ritenuta strumentalizzazione di un lecito intervento di riorganizzazione delle strutture aziendali, attuato al fine di rendere la loro impresa che da oltre 50 anni opera nel settore degli ingranaggi ad un livello di assoluto prestigio, concorrenziale ed in grado di mantenere standards ottimali».
I legali sottolineano che in sede processuale sono stati sentiti numerosi testi della difesa che hanno confermato quali fossero le finalità lecite di questa operazione: dipendenti, sindacalisti, responsabili delle organizzazioni di impresa, concorrenti e professionisti.
In particolare le complesse implicazioni dell’intervento di ristrutturazione al centro del dibattimento, sono state illustrate dal professor Marco Spolidoro, professore universitario presso l’università Cattolica di Milano che ha minuziosamente analizzato ogni singola parte dell’operazione, spiegandone finalita’ e ragioni.
«Ciò che maggiormente stupisce della decisione del tribunale, – commentano, tramite gli avvocati, i fratelli Chiaravalli – è che non sia stato tenuto in alcun conto un fatto di assoluta, centrale importanza. Per specifica previsione di norma, infatti, nessun bene avrebbe potuto essere sottratto ai creditori, Stato per primo: sia il cessionario che il cedente dei beni, infatti, sono tenuti a rispondere. Ma non solo. E’ necessario chiarire che allorquando venne iniziata l’azione penale, non esisteva alcun credito accertato dell’agenzia delle entrate nei confronti della societa’ essendo ancora pendenti avanti il giudice tributario i contenziosi instaurati contro l’agenzia delle entrate e le sentenze sino ad allora emesse avevano avuto esito positivo per i Chiaravalli e la loro azienda».
Ma non basta, i Chiaravalli vogliono sottolineare anche un altro aspetto, a loro giudizio, molto importante: «È necessario chiarire che le successive richieste per imposte non dovute e contesate ammontavano, in tutto, ad euro 60 milioni ciò che, per converso colpisce è che a fronte di tali pretese presunte, vennero richiesti euro 32 milioni per le sanzioni. Inutile sarebbe ogni commento soprattutto se si va a vedere quanto è stato conciliato con l’agenzia delle entrate che equivale ad una somma finale di 7 milioni di euro, tutti corrisposti e solo per la necessità di poter andare avanti a lavorare».
Per i Chiaravalli, dunque, parlare di frode fiscale è errato: «L’azienda, riorganizzata, opera con soddisfazione sul mercato; non ha debiti con alcuno. La decisione del tribunale di Busto Arsizio, assolutamente non condivisibile, verrà certamente impugnata in appello perchè in questa vicenda hanno subito un ingiusto danno d’immagine oltre che patrimoniale».
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