C’é il tocco di un gallaratese nel Montalbano televisivo
Gli esordi con Strelher e Paolo Grassi. Le inchieste con Beppe Viola. Il successo con il Fausto Coppi della Rai. Alberto Sironi, il regista dei film di Camilleri
La Sicilia vista attraverso gli occhi di un lombardo. Alberto Sironi, regista televisivo, con la sua macchina da presa ha dato un volto al commissario Montalbano di Andrea Camilleri. Sironi, 61 anni, é un gallaratese che ama da sempre raccontare storie. Una passione trasmessagli dal padre, grande affabulatore. "Parrucchiere per signora, ma uomo coltissimo, con una biblioteca sterminata" lo ricorda. Abitavano in via Roma dal 1946, i Sironi, e prima ancora a Cassano Magnago. Nella pianura del Varesotto. "Una provincia che oggi ci sembra sonnacchiosa, spenta, automatizzata, tutti davanti alla tv, ma forse perché ogni volta che ci torni vorresti che fosse tutto come nella tua infanzia". Ed é stato proprio il legame con il passato a suggerire a Sironi quello che è stato il suo più grande successo televisivo, prima dell’avventura di Montalbano: Fausto Coppi con Sergio Castellitto. "E’ stato un omaggio a mio padre – racconta – lui era un grande tifoso di Coppi, mi portò a vederlo sullo Stelvio da bambino, mi parlava sempre di lui. Quando morì, pensai a che regalo avrei potuto fargli, e nacque il film".
La carriera di Alberto Sironi sarebbe tutta da raccontare. Andiamo per sommi capi. Si forma alla scuola d’arte drammatica di Giorgio Strehler e Paolo Grassi. Negli anni settanta inizia a collaborare con la Rai. Realizza alcuni documentari per Tv7, tra cui un’inchiesta sul mondo del calcio "Mercato di Gambe". Insieme a Beppe Viola realizza poi un’inchiesta sui giocatori di biliardo milanesi. Negli anni Ottanta scrive e dirige una serie con Diego Abbatantuono nei panni di un poliziotto: il commissario Corso. Sironi é un sincero appassionato di Camilleri. "Sì, tanto é vero che nel film precedente, Una debole voce, una storia palermitana in cui una famiglia rimane coinvolta in un problema di mafia, feci un’inquadratura con un attore che leggeva Il cane di terracotta. E’ un amore antico quello con Camilleri. Ero felicissimo quando me lo proposero, un po’ meno quando me lo tolsero, per tre mesi, senza darmi spiegazioni. Poi mi ricontattarono, vai a sapere perché… ma quelli sono i misteri del potere". "Quelle di Camilleri sono storie bellissime e io ho sempre cercato di lavorare solo con storie di qualità, rifiutando le cose brutte. E’ una forma di rispetto verso se stessi. Platone diceva che la morale del ciabattino é quella di fare buone ciabatte. Quella del regista é fare un buon film". Come ha fatto un lombardo come lei a calarsi in una realtà così siciliana? "La Sicilia è un mondo misterioso e diverso che va guardato con grande rispetto, come si guarda qualcosa che non ci appartiene ma che ci riguarda come italiani. E’ una regione disponibile a essere capita e che quando la stai per capire all’improvviso si chiude come una conchiglia. Noi siamo gente di pianura e non abbiamo la stessa paura di chi sa che deve guardarsi le spalle. Ogni cosa che viene fatta in Sicilia va rispettata tremila volte di più. Mi ricordo il padre di Giuseppe Tornatore, un vecchio siciliano, autodidatta, dirigente di partito, insomma un uomo eccezionale, mi disse: essere comunista a Gallarate non é la stessa cosa che esserlo a Bagheria. Naturalmente aveva ragione. Fu proprio lui a farmi il complimento più bello della mia carriera. Un giorno mi disse questo: io non so che cos’è ‘sta fiction, a me sembra sempre lo stesso film, anche se cambiano gli attori. I tuoi film no". Vigàta é tutta la Sicilia? "E’ l’Italia. E’ un palcoscenico dove si agitano delle storie morali, che ripercorrono a tutto tondo il senso della vita. Noi abbiamo cercato di rappresentarla senza retorica, con la bellezza e la crudeltà del paesaggio". E Montalbano, sarebbe stato lo stesso se non fosse siciliano? Certamente no, ma altri esempi di poliziotti interessanti non mancano. Anche al nord. "Il migliore lo fece Gadda, nel pasticciaccio, anche se lo trasportò a Roma. Ma il commissario del nord é per definizione meridionale. E’ un mestiere che appartiene per cultura al sud. Inutile sprecare tempo a capire perché. E’ così". |
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