«Non uccidete quella donna»
Approvata all’unanimità dal Consiglio Regionale una mozione urgente per cancellare la condanna di Amina, la giovane nigeriana condannata alla lapidazione per aver concepito un figlio fuori dal matrimonio
A questo mondo si può essere condannati a morte per aver concepito un figlio fuori da matrimonio. Non è la prima volta che accade, purtroppo. E non è la prima volta che molti scendono in piazza per opporsi alla violenza di leggi, tradizioni e principi del tutto inumani. Era successo per Safya, sempre in Nigeria. Mezzo mondo si mobilitò. Oggi tocca ad Amina, colpevole di vivere nella Nigeria settentrionale, dove i nuovi codici penali introdotti e basati sulla sharia prevedono la pena di morte per reati quali l’adulterio e istituiscono pene crudeli, inumane e degradanti come le frustate e le amputazioni.
Il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato oggi, 27 maggio, all’unanimità una mozione urgente presentata dalla vicepresidente Fiorenza Bassoli e firmata da tutte le forze politiche per chiedere alla Giunta e al Consiglio di impegnarsi nei confronti del governo nigeriano, affinché venga cancellata la condanna a morte di Amina.
Proprio grazie ad una mobilitazione di tutte le associazioni attive a livello mondiale nelle battaglie per i diritti civili, otto mesi fa l’esecuzione è stata rimandata. Ma non c’è tempo: la sentenza d’appello è fissata per il prossimo 3 giugno e potrebbe confermare la condanna o prosciogliere Amina, permettendole di continuare a vivere. Per questa ragione proprio oggi è stata presentata in aula la mozione che vuole continuare nell’impegno contro la pena di morte nel mondo. Già nel settembre scorso i consiglieri regionali della Lombardia firmarono un appello che impegnava Giunta e Consiglio a farsi interprete presso gli organismi internazionali nigeriani al fine di evitare «l’orrenda condanna inflitta ad Amina» e a sensibilizzare l’opinione pubblica “«sulla grave situazione in cui versano le donne islamiche a causa degli integralismi religiosi».
Amina Lawal (Stato di Katsina), rischia la vita assieme a Ahmadu Ibrahim e Fatima Usman (Stato di Niger) nonché Mallam Ado Baranda (Stato di Jigawa), e ad altre persone condannate a morte da tribunali della sharia e la cui esecuzione mediante lapidazione è imminente.
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