Trasparenza, qualità e rispetto dell’ambiente: gli assi dell’Iper

Da mercoledì cambio ai vertici dell'Ipermercato. Le novità, la qualità dei servizi, l'andamento del mercato, la crisi della Parmalat i temi trattati con Alberto De Caro che va a dirigere la struttura vicina a Rimini

«Sono stati quattro anni entusiasmanti. Abbiamo avviato molte sperimentazioni e gestito un periodo commercialmente difficile. Lascio una bella struttura, ma con entusiasmo vado a dirigere una realtà molto diversa da questa, dove potrò continuare ad imparare». 
Da mercoledì Alberto De Caro non sarà più il direttore dell’Iper di Varese. Al suo posto da Montebello della battaglia arriva Maurizio Marmonti.
È un normale avvicendamento che risponde a logiche  dell’Iper, che fa della crescita interna la propria filosofia professionale. Viene prestata una grande attenzione al personale e si incentiva in modo molto forte la volontà di far carriera nella struttura. Questa non ha un carattere solo legato all’anzianità, ma al dinamismo e alla disponibilità ad assumere maggiori responsabilità. 

La storia personale di Alberto De Caro ne è un perfetto esempio. Varesino di origine, dove tuttora vive, sposato con due figli, è entrato all’Iper di Varese nel 1991 e per tre anni fece il responsabile delle apparecchiature elettroniche. Dal 1994 al 1995, responsabile dei prodotti freschi tradizionali a Rozzano, poi per due anni, dal 96 è stato vicedirettore a Brembate. Ha continuato la propria formazione nel 97 e 98 affiancando il direttore a Udine, di seguito la prima direzione nella struttura piemontese di Pozzolo. Dal gennaio del 2000 è tornato alla "sua" Iper e dal 15 gennaio prossimo sarà direttore dell’unico Iper romagnolo a Savignano sul Rubicone.

Direttore come mai questo cambiamento ai vertici?
«È un normale avvicendamento. Anzi, io ho avuto la fortuna di restare un anno in più perché normalmente i direttori cambiano sede ogni tre anni».

Che bilancio fa di questi suoi quattro anni a Varese?
«Positivo. La più grande soddisfazione, oltre ad alcuni aspetti di organizzazione interna, è la fidelizzazione del cliente. Questa è avvenuta in un periodo di grande dinamismo. L’Iper di fatto è stato accerchiato da altre catene della grande distribuzione. malgrado questo siamo continuati a crescere. È un risultato esaltante».

Parlava di questioni organizzative…
«Certo, oggi noi siamo una struttura dove lavorano 580 persone. Gestiamo 120mila carte fidelity con un afflusso di clienti che tocca punte di 20mila ingressi nel centro commerciale. Non è una cosa semplice gestire questi numeri. Sul piano del personale abbiamo avviato diverse sperimentazioni e siamo molto soddisfatti. Da quando Varese è considerata città turistica noi teniamo aperta la struttura 35 domeniche all’anno. Questo ci ha costretti a rivedere completamente l’organizzazione. Abbiamo avuto alcuni contrasti, ma sono stati superati e devo riconoscere grande disponibilità e intelligenza sia da parte dei lavoratori che del sindacato».

Non è un assurdo aprire la domenica?
«Quello che penso come cittadino non interessa a nessuno, ma come direttore il mio compito era quello di organizzare una domanda esistente. Lo abbiamo fatto e in modo egregio. Oltre al nostro personale, abbiamo assunto 40 giovani che lavorando sabato e domenica si pagano gli studi universitari. Del resto, occorre pensare che se all’inizio i clienti della domenica arrivavano più per curiosità che per bisogno, oggi siamo di fronte all’erogazione di un vero e proprio servizio. I cittadini vengono a fare la spesa e cercano sempre più spesso il prodotto fresco tanto che subito dopo il sabato il giorno di maggior affluenza è la domenica».

Quali sono i caratteri di fondo dell’Iper oggi?
«Noi risentiamo molto di un’immagine che ci vede competitivi solo per i prezzi. Nella realtà il nostro lavoro sta cambiando molto. La nostra maggiore attenzione oggi è dedicata alla trasparenza, alla qualità e al rispetto dell’ambiente. Abbiamo spinto molto sui laboratori a vista perché permette una trasparenza assoluta nei confronti del cliente che deve sapere come viene fatto il prodotto fresco che sta acquistando. Noi tutte le sere buttiamo via gli avanzi di produzione e la mattina ricominciamo da zero. Non si riciclano i prodotti rivendendoli il giorno dopo».

L’Iper è stata tra le prime strutture della grande distribuzione a vendere i prodotti biologici e del commercio equo e solidale. Come sta andando?
«Per il commercio equo credo sia ancora un periodo particolare e resta un settore di forte nicchia perché risente di prezzi troppo alti rispetto alla media. Per il biologico c’è invece un problema di credibilità. Il nostro paese è molto indietro rispetto ad altri e di questo il cliente si rende conto e si fida meno. L’Iper ha cercato di trovare una soluzione interessante».

Cioè?
«La linea dei prodotti "Patto qualità", rispondono a un’esigenza di conoscenza e certificazione. Il patto Qualità Iper nasce da un accordo tra Iper, coltivatori, allevatori e fornitori per garantire, con il massimo impegno, la massima qualità dei prodotti. Qualità raggiunta con un controllo rigoroso
della filiera produttiva, dalla nascita alla vendita del prodotto. 
Con il Patto Qualità Iper abbiamo messo al bando dal ciclo produttivo tutte le sostanze chimiche potenzialmente nocive, comprese quelle conservanti. I prodotti sono disponibili nei nostri ipermercati solo quando le condizioni climatiche permettono di gustarli al meglio. In questo modo si recuperano, per esempio, varietà di frutta e di verdura che si sono perdute col tempo solo perché non idonee ad una produzione intensiva.
A questa linea che segue ormai un centinaio di filiere di prodotti, si aggiungono poi quelli marcati Iper controllati anch’essi in tutto il loro ciclo produttivo e di grande convenienza economica».

Un altro aspetto interessante è quello del confezionamento…
«Si, anche qui abbiamo voluto dare un contributo concreto alla riduzione dell’impatto ambientale partendo dalla nostra attività principale. Vogliamo abolire completamente i materiali non rinnovabili e non biodegradabili. Da anni siamo impegnati nella ricerca di materiali di imballaggio ad uso alimentare aventi caratteristiche di eco-compatibilità, con risultati che pongono la nostra catena all’avanguardia rispetto alle altre catene europee. La nostra attività di ricerca sugli imballaggi eco-compatibili, nata nel 1998 con l’istituzione di un apposito gruppo di lavoro, ha portato alla individuazione di materiali per prodotti alimentari preparati nei nostri atelier quali la panetteria, la pasticceria, la pizzeria, la gastronomia, l’ortofrutta. Sono inoltre allo studio materiali d’imballaggio eco-compatibili per la macelleria, la pescheria, la gelateria, la salumeria, la polleria, i formaggi al taglio».

L’Iper è una catena di supermercati. Qual è l’autonomia di ognuno di questi?
«Alta, molto alta. I dirigenti sono davvero nelle condizioni di poter effettuare delle scelte e di queste sono direttamente responsabili. Alcune scelte di fondo, vedi la filosofia commerciale, sono di appannaggio del gruppo, ma poi nei singoli aspetti di gestione si è davvero autonomi. Del resto non potrebbe che essere così. Io ora vado in Romagna dove le abitudini sono completamente diverse e non tenerne conto vorrebbe dire perdere competitività».

Autonomia che è operativa anche nella scelta dei prodotti?
«Certo, principalmente in quelli anche perché crea affezione verso i clienti, ma soprattutto valorizzazione del territorio. Una cosa non da poco».

Questo argomenti sono però poco noti al grande pubblico…
«È vero e ce ne dispiace. Purtroppo siamo molto orientati al fare e poco al comunicare. Lo sforzo maggiore va poi alla pubblicità commerciale diretta, ma stiamo cercando di cambiare e qualcosa già si vede».

Il vostro magazzino, dato il grande flusso di clienti, è un osservatorio interessante. Come sta andando il mercato in questo momento?
«C’è un chiaro rallentamento dei consumi e ne risentiamo tutti. Le cause sono ovviamente complesse e non credo alla polemica sull’euro. Questo ha avuto effetti incredibili, speculativi in alcuni settori, ma non nella grande distribuzione. Purtroppo c’è un evidente calo del potere di acquisto. L’Iper ne sta risentendo come tutti. Tiene bene, ma il suo trend di crescita sta ovviamente rallentando».

Come ha reagito il consumatore al "caso Parmalat"?
«L’atteggiamento per ora è ancora neutrale. I prodotti ci sono e si vendono come prima. Del resto in mezzo a questa bufera non si è mai messa sotto accusa la qualità dei prodotti e a questo il consumatore, che ora è molto più attento, presta attenzione».

Direttore, non le dispiace lasciare la sua città e il magazzino che ha diretto per questi quattro anni?
«Si, mi spiace anche perché questa è la mia città e la mia famiglia resta qui. Al tempo stesso però assumo un impegno affascinante che metterà alla prova la mia professionalità, ma che certamente mi farà crescere ancora. Il nostro lavoro ha tanti aspetti, ma uno dei più interessanti è il rapporto con il cliente, perché ogni giorno fa apprendere nuove cose. Per questo sono fortunato e orgoglioso di stare in un gruppo come questo dell’Iper».

Ancora due giorni e poi da mercoledì in terra romagnola sarà un varesino e i suoi centinaia di collaboratori a far "girare" milioni di prodotti. Ad Alberto De Caro un arrivederci a presto e tanti auguri per la nuova impresa.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 12 Gennaio 2004
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