Un territorio tra dinamismo e campanilismo
Il professor Roberto Romano analizza per Varesenews la vicenda storica dell'Alto Milanese
«Fino al fatidico 1927, quando Mussolini istituì la provincia di Varese, questo era un territorio pressochè istituzionalizzato nel circondario di Gallarate». A ricordare questa pagina di storia lontana e poco nota è Roberto Romano (foto), docente di Storia dell’Industria presso l’Università degli Studi di Milano e autore di un "classico" su cui hanno studiato moltissimi studenti universitari, "La modernizzazione periferica. L’Alto Milanese e la formazione di una società industriale, 1750-1914".
«Le rivalità cittadine erano già molto radicate prima della Grande Guerra» osserva Romano. «La cultura locale altomilanese si è subito definita come cultura cittadina ma non cosmopolita – definirla "paesana" sarebbe riduttivo. Ad ogni modo vi sono sempre stati aspetti molto interessanti e in qualche misura contradditori in questo piccolo universo di cittadine in competizione tra loro. Parlo, ad esempio, dei grandi imprenditori che si trasferivano dalla città d’origine: è il caso dei Cantoni, grandi cotonieri che da Gallarate si sono trasferiti sull’Olona, segno che le esigenze economiche prevalevano sul tradizionale campanilismo».
Quali le strategie che hanno condotto al successo industriale la nostra terra, dunque? Una serie di fattori complessi e non sempre semplici da individuare. «Da un lato la forza della classe imprenditoriale, che ricorreva all’endogamia – cioè ci si sposava tra le famiglie dell’élite industriale e commerciale – rafforzando legami "a rete" identificativi di un territorio, di un sistema. Dall’altro una flessibilità non certo scoperta oggi, ma anzi tradizionale nel tempo, tant’è che nei decenni scorsi si passò dal sistema della grande impresa con centinaia di addetti alla delocalizzazione presso una miriade di terzisti e piccoli imprenditori». Questa solidità di base del sistema Alto Milanese gli ha permesso di reggere l’inevitabile processo di deindustrializzazione senza tracollare in una drammatica rust belt ("cintura di ruggine", termine anglosassone per indicare le zone deindustrializzate, ndr), ma anzi "cambiando pelle" verso il terziario senza troppi scossoni.
Ma perchè, chiediamo infine a Romano, proprio tessile e meccanica sono esplosi qui nell’Ottocento? «In realtà c’era tutta una tradizione lombarda alle spalle che datava da secoli precedenti: per esempio la seta, che aveva il suo centro a Como». il processo sarebbe partito durante l’epoca moderna, nel Seicento per intenderci, da una… delocalizzazione delle unità produttive, per dirla in termini moderni, che trasferì molte produzioni tessili nell’Alto Milanese. Da lì, la presenza di fiumi – e dunque di forza motrice per i mulini prima, e le macchine a vapore poi – consentì la graduale espansione dell’industria tessile che, lontana dai setifici comaschi, si caratterizzò per l’impiego del cotone. L’industria meccanica, invece, poteva trovare antichi paragoni addirittura nella produzione del fil di ferro che si praticava in quel di Busto fin dal Medioevo (sempre di non voler scomodare addirittura la cultura di Golasecca…)
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