Una fantasia consolatoria
Mi sto da qualche tempo ponendo il problema di come l’Italia, paese di antica civiltà e di relativamente avanzato livello socioeconomico, possa mantenere la sua posizione e il suo tenore di vita.
In molti paesi vi sono competenze paragonabili alle nostre e costi di produzione molto inferiori, quindi le produzioni internazionali tendono a trasferirvisi. Cosa può arrestare questa tendenza, se non possiamo adottare l’introduzione di dazi doganali protettivi? E, indipendentemente dalle norme comunitarie e internazionali, il protezionismo doganale è efficace solo per il mercato interno, sbocco spesso inadeguato per una efficiente produzione industriale, e comunque si risolverebbe in un abbassamento della capacità di competere per la nostra economia e del nostro tenore di vita.
A parità di caratteristiche di produzione, noi abbiamo perso il confronto. Sopravviviamo perché ogni transizione epocale ha delle sue gradualità e attriti interni, come l’affondamento del Titanic ha impiegato del tempo e ha consentito alla orchestrina di continuare a suonare qualche valzer e foxtrot prima di inabissarsi. Ma il confronto economico tende all’equilibrio, che si raggiungerà quando il lavoratore cinese, indiano o bulgaro guadagnerà quanto quello italiano o quello statunitense.
Si dice: dedichiamoci al turismo. Potremmo avere significativi afflussi turistici dall’estero, grazie alle vestigia del nostro passato e alla bellezza dei nostri paesaggi, e questo sarebbe un bene per la nostra economia e per la nostra bilancia commerciale. Ma abbiamo compromesso e stiamo progressivamente compromettendo le bellezze del nostro paese (condoni edilizi dettati da esigenze di cassa più che di giustizia sociale); la qualità della vita tende a deteriorarsi (congestione del traffico e inquinamento da PM10 e da rifiuti); e infine (si veda l’intervista di Andrea Pininfarina al Sole24ore di domenica 29 febbraio) anche lo sviluppo industriale è necessario perché l’Italia non diventi un paese di camerieri.
Una via obbligata per fronteggiare la concorrenza è la ricerca e l’innovazione, e ne abbiamo parlato. L’argomento è all’ordine del giorno di tavoli di discussione nazionali e internazionali, e staremo a vedere quale azione ne scaturirà
Consentitemi ora una fantasia consolatoria. Parto dalla constatazione che una delle mine a tempo che minacciano la nostra società è l’onere pensionistico. Si è cercato di disinnescarla per qualche tempo con provvidenze per incoraggiare i dipendenti a posticipare l’età di andata in pensione. Eppure questo ha contestualmente sottratto impieghi ai giovani in cerca di occupazione. Di fatto oggi in Italia l’età media della prima occupazione supera i venti anni. L’economia complessiva regge questo onere, che è a carico dei genitori, dei nonni pensionati, e comporta limiti nella qualità di vita dei giovani disoccupati.
Penso allora (e qui è la fantasia consolatoria) che si potrebbe trasformare un vincolo in una opportunità. Nel nostro caso, perché non fare dell’inconveniente di una ritardata vita lavorativa dei giovani, un vantaggio in termini di cultura diffusa? Mi sarebbe piaciuto che la recente riforma scolastica avesse sancito che tutti, dico tutti, i cittadini italiani dovessero seguire un unico corso di studi fino ai diciotto anni e conseguire la maturità liceale. Un’unica maturità liceale, con lo studio del greco e della storia dell’arte come si fa al liceo classico, e della matematica e delle scienze, come si fa al liceo scientifico. Oppure magari studiare fino a vent’anni e comprendere nell’apprendimento nozioni teoriche da idraulico, elettricista, giardiniere, fabbro, falegname. Con una simile base di studi, chiunque volesse fare poi un lavoro semplice, potrebbe impararlo in corsi di specializzazione di pochi mesi, mentre chi volesse fare il medico o lo scienziato, avrebbe da fare i suoi anni di università. Che nazione preparata alle sfide del futuro saremmo, e come sarebbe rafforzato un senso di cultura comune!
Ma sono fantasie innovative se non rivoluzionarie, e vi indulgo solo quale consolazione in una situazione che mi pare gravissima.
E, parlando di scuola e di provvedimenti in linea con i tempi, perché mai bisogna vedere dei ragazzi che vanno a scuola caricati di qualche decina di chili di libri, quando un computer collegato in rete in ogni banco di scuola consentirebbe di accedere a tutti i testi dei programmi scolastici? I testi, grazie alla diffusione centralizzata e all’assenza di costi di stampa e distribuzione, costerebbero una frazione della attuale spesa per libri che grava, talvolta in modo insopportabile, sulle famiglie. E quanta maggior salute per le schiene dei poveri ragazzi!
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