Alle Bustecche non si vive dietro le quinte del mondo

Presentato alla “Piramide” di piazza De Salvo il libro “Il quartiere che non c’era”, pubblicato da Auser, che ricostruisce la storia del quartiere varesino

Una volta vivere alle "Bustecche" significava “Vivere dietro le quinte del mondo”. L’efficace espressione, coniata più di vent’anni fa dal giornalista del Giorno, Ezio Motterle, oggi non è più vera. "Le Bustecche" sono un vero e proprio quartiere, dove c’è una buona qualità della vita. La metamorfosi è, dunque, completata: da zona agricola a insieme di ghetti isolati tra loro, da zona periferica a quartiere centro di riferimento della vita associativa della città. Una vitalità e un senso di partecipazione che le "Bustecche" ha dimostrato di avere in occasione della presentazione del libro “Il quartiere che non c’era” (Auser) curato dallo storico Enzo Rosario Laforgia. Più di cento persone hanno affollato “La piramide” per ascoltare i protagonisti di quella stagione. Oltre al curatore, sono intervenuti: Bruna Brambilla, presidente dell’Auser, l’urbanista Michela Barzi, l’ex sindaco di Varese Pippo Gibilisco, il presidente della cooperativa Nuova Urbanistica, Rocco Cordì, e il giornalista Ezio Motterle.

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 Enzo Laforgia (storico e curatore del libro) – «Ancora oggi la città a volte si dimentica di questo quartiere. Qui c’è un vero laboratorio che sperimenta la ricerca di un’identità comunitaria, difficile da trovare in un quartiere dove c’è stata una crescita disordinata. Il fatto che oggi ci sia una fitta rete di associazioni ha prodotto una vitalità nuova ed originale. L’intensa  attività culturale e di volontariato alla fine ridefinisce anche i rapporti tra centro città e periferia, accorciando quelle distanze che un tempo sembravano incolmabili».

Michela Barzi (urbanista) – «"Le Bustecche" è l’unica parte della città che ha un’urbanizzazione. Oggi è possibile parlare di quartiere, mentre un tempo questa era solo una zona agricola, divenuta troppo in fretta città. Casermoni che crescevano nel deserto, fatto di strade sterrate e assenza di qualsiasi servizio. Ora è possibile vedere un disegno del quartiere ed anche un pezzo di sviluppo di questa città. "Le Bustecche" rappresentano la prima cellula di una città possibile e forse partendo proprio da qui si dovrebbe rivedere il vecchio concetto della “Città Giardino” disperso negli anni».

Pippo Gibilisco (avvocato, ex sindaco di Varese) – «L’esigenza primaria in quel periodo era dare un alloggio ai tanti immigrati. Non bisogna dimenticare che fino agli anni ’70 il piano regolatore  prevedeva uno sviluppo della città fino a 700 mila persone, una cosa abnorme. Comunque, alle "Bustecche" si correva il rischio, come del resto per San Fermo, che l’intervento di edilizia popolare isolasse il quartiere dalla città, con la conseguente non integrazione dei nuovi arrivati. Una delle necessità del quartiere era avere una scuola media, poiché erano tutte concentrate nel centro della città. Anche sulla toponomastica si scatenò un acceso dibattito in consiglio comunale, perché Varese aveva fatto un gemellaggio con Gemona in Friuli, dove molti varesini e lo stesso ministro Zamberletti parteciparono nell’opera di ricostruzione dopo il terremoto, e noi volevamo legare questo avvenimento al nuovo quartiere. E poi c’era anche la questione delle chiese: in alcuni quartieri, come a San Gallo, si faceva messa negli scantinati. Oggi il quartiere c’è e penso che qui la qualità della vita sia migliore rispetto a via Piave, in pieno centro, dove abito io».

Ezio Motterle (Giornalista, caporedattore del Giorno) – «Se un tempo qui ti sembrava di stare dietro le quinte del mondo, oggi le "Bustecche" sono un quartiere tutt’altro che emarginato. Erano molti anni che non ci venivo, perché a noi giornalisti è la cronaca che ci porta in alcuni luoghi piuttosto che in altri. Eppure ho avuto la netta sensazione di trovarmi in un quartiere presente, autonomo e vivo. A proposito della scuola di cui parlava Gibilisco, come cronista mi ricordo della protesta messa in atto da 250 genitori quando ci fu la proposta di trasferimento. Furono momenti di grande battaglia politica e culturale».

Rocco Cordì (Coop. Nuova Urbanistica) – «Il problema, purtroppo, è che in questa città i quartieri sono dimenticati. Richiamare alla memoria la storia delle "Bustecche" è importante perché le periferie – termine che non mi piace – sono state dimenticate. Ad esempio, a noi basterebbero 50 mila euro per sistemare a dovere la piazza De Salvo, però il comune non li trova. Invece un milione e mezzo di euro per rifare la pavimentazione di piazza Monte Grappa sì. Per noi costruire una dimensione umana in questo quartiere è una scommessa quotidiana. Con la nuova urbanistica si immaginava l’abitare non più come il semplice risiedere in un posto, ma anche occasione di crescita collettiva e di benessere comune grazie anche a spazi fruibili. Il fatto che si siano messi e si continuino a mettere spazi a disposizione di associazioni con funzioni ricreative, culturali, assistenziali e solidaristiche risponde a quella esigenza».

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Pubblicato il 21 Maggio 2006
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