Focus sui film del 7 e 8 agosto
La recensione di alcuni fiml presentati al Festival del Cinema
AGUA, Argentina 2006, di Veronica Chen
Concorso internazionale.
Un uomo vive nel deserto, non c’è traccia dell’acqua del titolo, perfino per dissetarsi sceglie vie diverse raccogliendo frutti di cactus.
Apprendiamo però presto che quell’uomo era, un tempo, “el tiburòn”, lo squalo, vincitore della grande maratona natatoria di Santa Fè, squalificato per doping e poi riabilitato, riabilitato quando la sua vita era già distrutta con la carriera e le speranze.
Senza un motivo apparente però lo squalo decide che è ora del riscatto, torna aSanta Fè e vuole correre ancora la maratona, a cambiare i suoi programmi la vista di un giovane che percorre le sue stesse orme e rischia lo stesso fallimento.
Un opera sui “perdenti” della vita, che ritrova la speranza nel sovrapporsi di diverse sconfitte che, forse, consente di vedere finalmente la luce nella conoscenza che viene dagli errori.
Una fotografia elegante anche se spartana per un film dominato dall’elemento del titolo, gli attori, che si intuiscono eccellenti, sono però scarsamente messi alla prova dalla scarsità di parole e contatti umani scelta dalla regista per sottolineare la difficoltà di affrontare le sfide della vita
Forse un candidato credibile al pardo.
Zeit des abschieds
Di Mehdi Sahebi, Svizzera 2006
Difficile parlare di questo documentario che si fa notare più per il contenuto che per qualsivoglia considerazione di forma.
Ciò che si vede nel film infatti è la morte di un uomo: Giuseppe è un tossicodipendente, malato di HIV, che si ammala di un cancro parassitario, cioè legato all’infezione virale.
La prognosi è infausta e l’uomo, forse bisognoso di riscatto di fronte alla società e ai figli, decide di accettare di essere filmato durante tutto il decorso della malattia, fino all’agonia, al momento stesso della morte e alla cremazione.
L’opera è stremante toccante ma fa sorgere quanto meno un dubbio: è lecito mettere in mostra fino a questi estremi la vita, e la morte, di un uomo? Non lo sappiamo ma la domanda si pone con forza.
Presenti in sala il figlio e una nipote dell’uomo hanno difeso la scelta del congiunto, almeno resta la certezza che il risctto di fronte alla famiglia sia avvenuto.
Hirtia va fi albastra
La carta sarà blu, di Radu Muntean, Romania.
Un uomo vive nel deserto, non c’è traccia dell’acqua del titolo, perfino per dissetarsi sceglie vie diverse raccogliendo frutti di cactus.
Apprendiamo però presto che quell’uomo era, un tempo, “el tiburòn”, lo squalo, vincitore della grande maratona natatoria di Santa Fè, squalificato per doping e poi riabilitato, riabilitato quando la sua vita era già distrutta con la carriera e le speranze.
Senza un motivo apparente però lo squalo decide che è ora del riscatto, torna aSanta Fè e vuole correre ancora la maratona, a cambiare i suoi programmi la vista di un giovane che percorre le sue stesse orme e rischia lo stesso fallimento.
Un opera sui “perdenti” della vita, che ritrova la speranza nel sovrapporsi di diverse sconfitte che, forse, consente di vedere finalmente la luce nella conoscenza che viene dagli errori.
Una fotografia elegante anche se spartana per un film dominato dall’elemento del titolo, gli attori, che si intuiscono eccellenti, sono però scarsamente messi alla prova dalla scarsità di parole e contatti umani scelta dalla regista per sottolineare la difficoltà di affrontare le sfide della vita
Forse un candidato credibile al pardo.
Di Mehdi Sahebi, Svizzera 2006
Difficile parlare di questo documentario che si fa notare più per il contenuto che per qualsivoglia considerazione di forma.
Ciò che si vede nel film infatti è la morte di un uomo: Giuseppe è un tossicodipendente, malato di HIV, che si ammala di un cancro parassitario, cioè legato all’infezione virale.
La prognosi è infausta e l’uomo, forse bisognoso di riscatto di fronte alla società e ai figli, decide di accettare di essere filmato durante tutto il decorso della malattia, fino all’agonia, al momento stesso della morte e alla cremazione.
L’opera è stremante toccante ma fa sorgere quanto meno un dubbio: è lecito mettere in mostra fino a questi estremi la vita, e la morte, di un uomo? Non lo sappiamo ma la domanda si pone con forza.
Presenti in sala il figlio e una nipote dell’uomo hanno difeso la scelta del congiunto, almeno resta la certezza che il risctto di fronte alla famiglia sia avvenuto.
Hirtia va fi albastra
La carta sarà blu, di Radu Muntean, Romania.
Competizione internazionale
Si potrebbe semplicemente dire che il film parli della rivoluzione romena dell’89, quella che portò alla caduta e all’esecuzione di Nicolae Ceausescu, ma il film fa insieme qualcosa di più e qualcosa di meno.
Di più perché descrive una vicenda umana e personale tutta interna al processo storico che dimostra come gli uomini possano essere messi alla prova da fatti più grandi di loro, arrivando a pagare con la vita le più semplici distrazioni in una situazione del tutto caotica e confusa ( il regista dice prima della proiezione che in Romania ancora oggi nessuno sa cosa accadde allora).
Di meno perché si ferma, volutamente crediamo, prima di entrare nel merito della ricostruzione storica, dei dubbi di ricostruzione e registrazione degli eventi.
Il giovane soldato Costi, vorrebbe partecipare alla rivoluzione ma porta una divisa che sembra collocarlo dall’altra parte, diserta e si unisce agli insorti, in breve sequenza combatte con loro, viene arrestato, liberato e condotto a casa, forse solo per morire in una sorta di incredibile incidente militare.
Il suo capitano minaccia di sparargli, poi cerca di aiutarlo, quindi gli fa rapporto ma scopre che i suoi comandi hanno aderito alla rivoluzione, salvo poi essere considerato un terrorista al rientro in caserma.
Sarebbero eventi ridicoli se non fossero tragici, Muntean li racconta con partecipazione e in modo avvincente, mascherando da scelta stilistica una certa autocensura che, supponiamo, potrebbe avere cause più oggettive, comunque un ottimo film seppure senza grandi pretese.
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