Cara sinistra

La sinistra varesina esce dalle elezioni con le ossa rotte. Non che nel resto d’Italia le cose vadano meglio. Malgrado il suo forte impegno e un modo diverso di impostare la campagna elettorale solo un quarto degli elettori hanno scelto Aspesi. L’Ulivo è andato male, ma gli altri molto peggio e ora iniziano le girandole delle analisi, dei commenti meno a caldo.
E ripartono le accuse tra i partiti alleati, le formule, i tecnicismi. Tutto nel politichese più stretto.
Insomma la ricetta perfetta per continuare a parlarsi tra “addetti ai lavori”. La sensazione è che davvero il mondo della politica viva una sua dimensione, troppo distante dalla vita reale. Siamo entrati da alcuni anni in una nuova fase storica. Cambiamenti epocali che investono ogni settore della società. Una fase che in altri paesi inizia a produrre effetti dirompenti. Si è in presenza di un dinamismo continuo, governano i giovani, le donne, si registra una buona crescita, la laicità dello stato è un principio che nessuno mette in discussione.
Una fase che presenta incognite, pericoli forti, ma anche opportunità straordinarie. Per dirla con una frase illuminante del professor De Masi, “questo non è il migliore dei mondi possibili, ma certamente il migliore che abbiamo avuto fin qui”.
La sinistra invece sembra aver smarrito due sentieri importanti, quello della passione e quello della progettualità.
La passione e l’orgoglio della propria identità sono il carburante indispensabile nella vita di ognuno di noi, lo sono ancor di più in quanti si occupano di politica ad ogni livello. Il patrimonio storico della sinistra era legato alle speranze di mondi migliori, ma anche a valori fondamentali del fare comunità. Basterebbe pensare alla mutualità, alla solidarietà, alle battaglie per l’uguaglianza. Principi e valori che non sono tramontati, ma che vanno reinterpretati. I cittadini, insieme alla concretezza della vita quotidiana, vivono soprattutto di emozioni, di sentimenti e non solo degli impulsi bassi delle pance. La sinistra non riesce più a trasmettere emozioni. È sempre in difesa di qualcosa e quasi mai per guardare con fiducia al futuro. È qui la prima vera ragione delle sconfitte, altro che tesoretto, indulto, dico o legge finanziaria. Oltre centomila persone in una sola stagione hanno deciso di non andare a votare per il centrosinistra. Non lo hanno certo fatto pensando a qualcosa in particolare.
E veniamo alla progettualità. Il male della politica non sono i suoi costi, anche se questi stanno diventando osceni. Il male è nella distanza tra i problemi concreti e le risposte che si danno. Occorre ripensare molte questioni e rendersi conto che la realtà cambia. Non è una semplice questione legata all’economia, riguarda ogni aspetto della società. Guardare alle cose nella loro pragmaticità ancor prima che alle battaglie di principio aiuterebbe a ritrovare un bandolo della matassa su cui aprire nuovi spazi, fare nuove sintesi.
La nascita del partito democratico può essere una tappa perché l’altro bisogno essenziale, di fronte alle nuove complessità che apre il futuro, è quello della semplificazione. Non la banalizzazione o il tagliar corto al dibattito, anzi. E non si corra l’errore di credere che la gente non capisca perché dove la sinistra ha candidati credibili fa dei balzi avanti che vanno oltre il semplice buon risultato. Un altro effetto positivo della nascita del nuovo soggetto politico è la necessità anche per la sinistra più radicale a trovare nuove forme, nuove modalità di rapporti.
Non è semplice, ma la ricetta di una ripresa di protagonismo non è legata alle formule geografiche o ai più o meno rapporti diversi con la Lega. Questo farebbe ripiombare il dibattito in uno scenario già visto. La questione settentrionale, ammesso che si possa definire così, non è questione di strade, che pur servono o di servizi diversi da quelli del centro o del sud Italia. Rincorrere così il centrodestra sarà sempre più perdente perché ci sono già loro ad occupare quello spazio. Passione, emozioni e una ritrovata vicinanza ai cittadini sono solo alcuni degli ingredienti per una possibile vittoria o che comunque renderebbero meno amara un’eventuale ulteriore sconfitta. Così resta solo una sterile conta dei voti e la tristezza per non sapere dove stavano quelli che, domenica e lunedì, sembrano non crederci più alla possibilità del cambiamento.
Ma forse oggi, qui da noi, basterebbe guardare con meno pregiudizi a chi ha stravinto. Marco Reguzzoni e Stefano Candiani non vincono tanto per le loro idee sul federalismo, anche perché molti che li hanno scelti non hanno votato Lega. Vincono anche perché hanno realizzato progetti. Piccoli grandi che siano i cittadini avvertono la loro vicinanza. E non è poco.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Maggio 2007
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