Depuratore sotto sequestro, chiavi in tribunale
I rappresentanti della società di tutela chiedono istruzioni precise alla Procura: «Non possiamo rischiare di commettere altri reati»
È sfociata in una protesta, che avrà il suo culmine il prossimo mercoledì 14 novembre, l’indagine della Procura di Busto Arsizio sul depuratore di Sant’Antonino Ticino. Sull’impianto di Lonate pesa infatti un provvedimento di sequestro emesso il 12 luglio scorso. Provvedimento che ha messo in serie difficoltà i sindaci e i rappresentanti del consorzio di gestione, la Società di tutela dell’Arno, Rile e Tenore, che in risposta ai problemi legali si sono dati appuntamento tra due giorni, davanti alla Procura di Busto Arsizio, per consegnare al Procuratore capo Francesco Dettori, le chiavi dell’impianto di Lonate Pozzolo.
«Il provvedimento di sequestro ci permette di continuare la nostra attività ma come possiamo farlo senza indicazioni precise? Rischiamo di subire nuovi provvedimenti giudiziari». A spiegare i fatti, deluso dai risvolti dell’inchiesta, è il leghista Modesto Verderio, presidente della società. «Una linea dell’impianto – ha aggiunto Verderio – ha avuto tempo fa delle difficoltà a rientrare nei paramentri a causa di una presenza di azoto ammoniacale più elevata del limite consentito. Questo ci obbligò a interventire rifacendo una parte dell’impianto che rimase perciò ferma per un periodo di circa sette mesi. In quel periodo i valori anomali, seppur di poco, sforarono il massimo consentito ma senza alcun pericolo per la salute pubblica».
Questo sbalzo non convinse però la procura di Busto Arsizio che decise di indagare sul caso in collaborazione con il Noe (Nucleo operativo ecologico) dei Carabinieri di Milano. Fu proprio questa inchiesta a concludersi con il provvedimento di sequestro. «La nostra volontà è quella di contestare alcuni equivoci che stanno ostacolando l’erogazione di un pubblico servizio – ha precisato Fabrizio Busignani, legale della società -. Prima di tutto il fatto che la Procura abbia ritenuto di considerare il depuratore come un impianto industriale e non urbano. Questa presunzione comporta una grave conseguenza: i provvedimenti nei nostri confroni assumono carattere penale e non amministrativo come avvenuto sinora. Eppure la legge per identificare l’attività di un depuratore è chiara: usa il criterio della prevalenza. Se le acque trattate sono per la maggior parte reflui urbani si tratta di un impianto urbano viceversa l’impianto è industriale. Nel nostro caso, dati dei comuni alla mano, solo il 30 per cento delle acque proviene dalle fabbriche della zona».
L’inchiesta ha avuto però anche un altro effetto rilevante: «Il sequestro – ha concluso l’avvocato – ha impedito, di fatto, il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico del depuratore da parte dell’ente di competenza, la Provincia di Milano. Il depuratore sta perciò operando senza questa necessaria conseguenza, gli amministratori rischiano perciò nuovi provvedimenti giudiziari. Non possiamo continuare a lavorare così. È tempo che ognuno assuma le proprie responsabilità e risponda del disservizio che si sta causando ai cittadini».
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