Federalismo: «Annacquate le idee di Miglio»
A dirlo è la Associazione Artigiani di Varese, per voce di Marino Bergamaschi. «Nella legge non c’è quello che Miglio definiva, quel modello creato per riconoscere, garantire e gestire le diversità dei territori»
La Lega si porta a casa un ottimo risultato nella speranza, però, che la “raucedine del tempo” non metta a tacere le voci di chi ha sostenuto il federalismo. Il federalismo fiscale è legge, ma ha annacquato le idee di Gianfranco Miglio. Non c’è quello che Miglio definiva
L’Associazione Artigiani crede nel “principio di autodeterminazione, nel principio identitario, nell’idea di libertà e nella volontarietà”. In una nuova coscienza politica, economica e sociale che possa agire partendo dagli interessi concreti dei piccoli operatori economici e dei cittadini così come sottolineato sul Corriere della Sera da Dario Di Vico (“Così il piccolo ceto medio combatte la recessione”) e Giuseppe De Rita (“La lunga marcia degli invisibili”). Gli interessi locali, come più volte ribadito dalla Lega (quando vestiva i panni da partito degli interessi locali), devono essere visibili. In questo momento tali interessi – Malpensa, Linate, A2A, Expo 2015 – si sono dispersi nella “nebbia lombarda” e nelle “paludi romane”.
Per Miglio la scelta del federalismo era inevitabile, e lo è anche per l’Associazione Artigiani, che si è sempre posta, come obiettivo prioritario, quello di rappresentare gli interessi delle MPI e di sollecitare l’adozione di un federalismo in quanto strumento di competizione. E’ troppo presto per gioire: perché il federalismo fiscale approvato è ancora un’incognita.
Soprattutto in questo momento di crisi nel quale la Lombardia – quarto motore d’Europa – necessita di un disegno federale fiscale per poter trainare nuovamente l’economia. Il federalismo non è una discriminante nella storia di un popolo, ma un vantaggio. «Potrà essere una fra le migliori soluzioni per uscire da questa recessione – spiega il direttore, Marino Bergamaschi – perché responsabilizza amministratori e cittadini, premia le imprese ed i territori virtuosi, incoraggia l’imprenditoria, offre efficienza alle pubbliche amministrazioni, esercita un modello di economia del territorio con il quale – come diceva Miglio già nel 1975 – si pensa “meno all’Italia (che è un’astrazione) e più agli italiani». Come negli Stati Uniti, Canada, Germania e vicina Svizzera.
Dal Decalogo di Assago ad oggi sono passati poco più di 3 lustri. Il Decalogo fu presentato da Miglio nel 1993 al secondo congresso della Lega Lombarda, e tutto c’era in quel testo tranne che una visione miope e generalista del concetto di patto federale. Tutto così attuale, a partire dall’articolo 8: «Il sistema fiscale finanzia con tributi municipali le spese dei Municipi medesimi. Il gettito degli altri tributi viene ripartito fra le Repubbliche Federali in funzione del luogo dove la ricchezza è stata prodotta o scambiata, fatte salve la quota necessaria per il finanziamento dell’Unione (cioè Stato Federale) e la quota destinata a finalità di redistribuzione territoriale della ricchezza».
«Un prelievo fiscale commisurato alla ricchezza prodotta, ma anche risorse messe a disposizione per quel territorio dal quale la ricchezza è stata ricavata – incalza Bergamaschi. Che sia il 20% dell’Irpef (da lasciare ai Comuni) o il 15% dell’Iva, il federalismo fiscale si potrà dire compiuto solo se si procederà alla riforma del Parlamento e del Governo, se si renderanno elastici e funzionali la Camera ed il Senato, se si diminuirà il numero di deputati e senatori, se le istituzioni verranno gestite in modo uniforme e con gli stessi criteri e principi all’interno dello Stato Federale. E se, in ultimo, si potrà sapere con logiche matematiche – e non spannometricamente – quanto il passaggio al federalismo inciderà sui conti pubblici e, quindi, su imprese e cittadini. Si dovrà ragionare sull’idea delle macroregioni di Miglio, perché singole regioni e Province sono un ostacolo burocratico per lo sviluppo del territorio ed un costo esoso e inutile per la comunità».
«E’ questo il federalismo che chiedono le nostre imprese – conclude il direttore generale – e che l’Associazione Artigiani chiede alla politica: uno stato federale che dia maggiori poteri alle città oppure dia autonomia e poteri ad aree ben definite. Prima di tutto, federalismo significa diminuire le tasse, ridurre i costi della pubblica amministrazione e aumentare i servizi ai piccoli operatori economici ed ai cittadini grazie ad una ricchezza reinvestita sul territorio. Sul “come” si può dibattere, ma non possiamo prescindere dal fatto che il federalismo, rubando una frase a Giuseppe De Rita, dovrà “essere un luogo in cui sviluppare senso critico collettivo e collettiva assunzione di responsabilità”. Attendere cinque o sette anni per portare a regime il federalismo? Per allora la riforma sarà già superata».
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