Violante: “Referendum, con il sì è a rischio la democrazia”
Il risultato del referendum, in un momento come questo, caratterizzato da una forte concentrazione di potere nella mani di una persona sola, sarebbe, per una società democratica, francamente inquietante
Il Pd è incerto sulla posizione da prendere al referendum elettorale che si terrà probabilmente il 21 giugno. Dopo la critica al mancato accorpamento nell’election day per risparmiare 400mila euro, il partito di Franceschini deve entrare nel merito. Luciano Violante ha preso posizione con un intervento su La Stampa, dove viene espresso un concetto che rappresenta la corrente ex diessina.
“Gli intenti che spinsero i referendari ad assumere l’iniziativa nel 2007 erano più che lodevoli – scrive Violante – . Di fronte al rischio che il panorama rissoso delle coalizioni proprio della scorsa legislatura diventasse un carattere strutturale del nostro sistema politico, proposero di liquidare quelle coalizioni attribuendo il premio di maggioranza alla sola lista vincente. In ogni scelta politica ci sono vantaggi e danni. Allora i vantaggi erano superiori ai danni.Ora, però, il superamento di quel tipo di coalizioni è avvenuto per via politica. Nel 2008 Veltroni, con coraggio, si coalizzò con la sola Idv e Berlusconi lo seguì stringendo un patto solo con la Lega. E’ difficile pensare che si possa tornare alle carovane di un tempo: i primi a ribellarsi sarebbero gli elettori. Perciò, guadagnati per via politica i vantaggi che si volevano conseguire attraverso il referendum, bisogna fare i conti con i danni”.
Il risultato del referendum, in un momento come questo, caratterizzato da una forte concentrazione di potere nella mani di una persona sola, sarebbe, per una società democratica, francamente inquietante. “Il quesito principale – argomenta Violante – intende attribuire il premio di maggioranza alla lista che abbia preso più voti: la lista vincente alla Camera o al Senato, in ipotesi anche solo con il 30% dei voti, otterrebbe il 55% dei seggi. Già oggi non gli elettori, ma i capi dei partiti, caso unico nel mondo avanzato, hanno il potere di scegliere i componenti del Parlamento. Il referendum conferma questa loro prerogativa e anzi la potenzia perché mette nelle mani di un solo uomo, il capo del partito vincente, chiunque esso sia, la scelta della maggioranza assoluta dei parlamentari. Le preoccupazioni aumentano – continua l’ex presidente della camera – quando si guarda agli statuti dei partiti e alle prassi che caratterizzano la loro vita interna: ben pochi partiti politici oggi potrebbero definirsi democratici, visto che molti funzionano con modalità carismatiche e populiste. Se domani vincesse il Sì, un solo partito, in netta minoranza nel Paese, diventerebbe maggioranza assoluta in Parlamento e potrebbe ad esempio, da solo, eleggere il Capo dello Stato, impossessarsi dei mezzi d’informazione, cambiare secondo le proprie convenienze la legge elettorale e i regolamenti parlamentari”. Una ipotesi non troppo remota.
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