Usag: a rischio altri posti di lavoro

La protesta degli operai davanti ai cancelli dell'azienda metalmeccanica. Il deputato Daniele Marantelli (Pd) e il senatore Fabio Rizzi (Lega Nord) hanno parlato ai lavoratori

Le cesoie della Usag sono ancora una volte pronte a tagliare. Ma al posto delle lamiere, questa volta, i tagli stanno tornando a colpire quelli che producono gli utensili di alto livello: gli operai stessi che ancora lavorano nello storico stabilimento di Gemonio, attivo da oltre ottant’anni.
Di ufficiale non c’è ancora nulla, ma le notizie rimbalzate dal Comitato centrale europeo della multinazionale americana Stanley – che da alcuni anni ha rilevato Usag e la ex controllante, la francese Facom – circa la dismissionedi alcuni reparti, hanno messo in apprensione i lavoratori di Gemonio che stamattina (lunedì 22) hanno incrociato le braccia a partire dalle 10,30.
Tutti coloro che non si trovano in cassa integrazione si sono riuniti fuori dai cancelli di via Fiume, bandiere in mano e sguardo preoccupato. Per loro, oltre alle consuete rappresentanze sindacali (a Cgil e Cisl si è aggiunto il Sin. Pa., il Sindacato Padano), si sono mossi anche due parlamentari, l’onorevole Daniele Marantelli (Pd) e il senatore Fabio Rizzi (Lega) oltre a diversi consiglieri provinciali (Livetti, Morselli e l’assessore Fagioli). E gli intervenuti hanno chiesto prima di tutto chiarezza all’azienda stessa: finché infatti non sarà reso noto il piano industriale sarà difficile capire quali e quanti tagli verranno operati. La protesta anticipata di oggi – ha spiegato Giuseppe Marasco della Fim-Cisl – ha proprio questo scopo, visto che altrimenti bisognerebbe attendere il “piano ristrutturazioni” previsto per fine anno; peccato che nel frattempo sia già stata dismessa la linea che produce gli estrattori e che la cassa integrazione sia da tempo utilizzata tra gli operai.
 
«L’azienda scopra le carte al più presto» ha tuonato Marantelli (foto sopra) che, megafono alla mano, ha parlato a lungo agli operai rispondendo anche ad alcune domande poste dagli scioperanti. «Non possiamo permetterci di perdere il patrimonio di competenze che si sono formate in aziende come Usag – ha proseguito –. La sfida è complicata ma ci sono le energie per affrontarla». Come detto, l’appello di Marantelli è stato fondato sull’unità di intenti: «Su questi argomenti non si dividano le forze politiche. Bisogna rimanere uniti, freddi nell’affrontare le cose ma anche capaci di fare le dovute pressioni: parlare a nome di un partito o di un altro non ha senso quando in ballo ci sono lavoratori e famiglie in difficoltà. Per questo è necessario coinvolgere la Regione, che ha il potere di sbloccare i confidi, il parlamento per dirottare nuove risorse all’istituto della cassa integrazione, ma anche l’Unione industriali che non può chiamarsi fuori su partite come questa di Usag».
Rizzi (foto a lato) al proprio arrivo ha fatto storcere il naso ad alcuni manifestanti, giungendo a bordo di un gigantesco Hummer giallo che ha sollevato diverse critiche. Anche il senatore, e sindaco di Besozzo, ha però voluto mandare un messaggio ai presenti, megafono alla mano. «Un presidio come questo ha anzitutto il pregio di attirare l’attenzione, di far conoscere a tutti i rischi per il vostro lavoro. Qui non possiamo neppure parlare di crisi, perché il gruppo che controlla Usag è sano e sta bene: ci stanno invece parlando ancora una volta di quella delocalizzazione che legata al mercato contro cui da anni predichiamo attenzione a livello centrale». A chi obietta che forse il Governo si sta muovendo “con comodo” su questi argomenti, Rizzi ribatte: «Forse stanno comodi altri partiti, non certo la Lega che da quindici anni porta a galla queste istanze. Ma sono d’accordo sul dire che ora non bisogna guardare al colore politico: è necessario muoversi non solo per salvare la situazione Usag ma anche per portarci avanti e evitare che altre aziende subiscano questa sorte. Serve un sistema interno che favorisca produzione, commercializzazione e che vada contro la concorrenza sleale portata da paesi come la Cina».

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Pubblicato il 22 Giugno 2009
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