Milanello, scene da un raduno

Tifosi in fermento dopo una campagna acquisti non proprio brillante: brucia ancora la cessione dell'asso Kakà. E fra cori "pesanti" degli ultras e pacifiche famigliole, c'è chi contesta con l'arma dell'ironia

Carnago, anzi, carnaio. Milanello è assediata. Dall’affetto e dall’astio insieme. Amore sconfinato per i colori rossoneri di una squadra che ha dato al calcio italiano dei club i suoi più grandi trionfi storici, rabbia verso una dirigenza che non appare più in grado di garantire quei "colpi" di mercato che soli sembrano poter garantire la speranza di nuovi brillanti successi. Chi è cresciuto a pane e Coppa… dei Campioni non può abituarsi a campionati "anonimamente" buoni, quel che basta a qualificarsi alla Champions, magari attraverso i preliminari.

Anche nel pomeriggio l’allenamento dei ragazzi di Leonardo – atteso "naturalmente", nomen omen, a geniali capolavori tattici – è scandito dai cori scatenati della Curva Sud. Magliette, torsi nudi, schiene imperlate di sudore, tatuaggi, ugole tonanti che ripetono slogan non sempre ripetibili, e decisamente fallocentrici. "La gente come noi s’è rotta il c…", "C’avete rotto il c…", e così via. Ma anche una commovente "O mi bela Madunina", tanto per gradire. Irriferibili i cori a carico di alcuni personaggi della società: in testa la responsabile della gestione del settore stadio e biglietteria (siamo già alle polemiche sugli abbonamenti, molti giurano d’essere pronti a disertare). Intorno, nell’afa schiacciante che non dà requie come si esce dall’ombra, striscioni per dirla chiara e tonda a chi di dovere. "Chi semina vento raccoglie tempesta"; "Vendere senza investire, una mentalità da sostituire"; e per Berlusconi, "Compri i campioni soltanto alle elezioni". Il Milan è una fede: si può scherzare sulla mamma, sui santi, sulla morte, ma sulle cose serie no. Chi tradisce o anche solo appare tradire è destinato ad essere oggetto dell’odio che si riservava un tempo all’eretico di turno. 

Dentro, sul campo, ci si allena con metodo, ma senza dannarsi l’anima. Intorno poliziotti e carabinieri a profusioni, guardie private di security, personaggi che vanno e vengono, qualche bella ragazza (moglie? fidanzata?), apartheid rigorosa fra giornalisti (di qua) e fotografi (di là). Milanello splende di bellezza con tutto il suo verde sempre curatissimo.

Tra i personaggi di questa "fossa" del tifo, che unisce l’ultras scatenato dalla testa rasata alla famigliola con pargoli che a neanche otto anni sanno distinguere un Thiago Silva a prima vista, troviamo anche la varesina Giancarla Bossi, una che, dice lei stessa, la prima parola che ha detto non è stata "mamma" ma "Milan". Con un’altra tifosa, Stefania, si tiene incollata addosso un cartello con scritto "tifoso non evoluto". «Galliani dice che i tifosi "evoluti" hanno compreso le ragioni della cessione di Kakà». Ed ecco spiegato il cartello, che dice più di tanti cori. Veder partire un campionissimo dalla giocata sopraffina, senza garanzia di vederne arrivare di eguale livello, è dura. «Guadagno mille euro al mese, e ho sempre fatto i miei bravi sacrifici per andare a vedere il Milan a San Siro, ne valeva la pena. Ma ora basta. Senza Kakà mai più a San Siro!» Accanto, c’è chi segue le avventure e disavventure rossonere «dai tempi di Maldini padre». Chapeau. Intanto Giancarla, per farsi sentire, ha scritto una lettera alla società in cui ribadisce il concetto. Per iscritto o a voce, con parole alate o accenti d’ira, la tifoseria c’è. Se servisse, per avvertire che non si farà vedere – almeno per un po’. La squadra, all’appello del gol, ci sarà?

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Pubblicato il 06 Luglio 2009
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