Chi decide il destino della IV Novembre?
La letterea di un ex allievo della scuola primaria “IV Novembre” (1977-1982). Oggi è ricercatore in pedagogia e docente di Pedagogia generale dell'università dell’Insubria Varese
Il Comune di Varese nelle ultime settimane ha approvato un piano di razionalizzazione degli edifici scolastici, prevedendo la chiusura di quattro scuole primarie, e ha fatto poco dopo retromarcia, producendo una deliberazione stupefacente: chiudere la "IV Novembre" di San Fermo, una scuola con un alto numero di allievi, dotata una struttura a norma molto bella, che da tempo costituisce un presidio educativo fondamentale nella vita del quartiere, e costruire un nuovo plesso nella zona Bobbiate/Casbeno!
La decisione che, secondo il Comune si connota per un’ottica territoriale e per l’attenzione alle famiglie, risulta, in realtà, insensata perché: a) priva i bambini e le bambine di San Fermo della possibilità di usufruire di una scuola bella e funzionale, destinandola ad altro uso (è evidente che la struttura fa gola a molti); b) ipotizza, addirittura, la costruzione onerosissima di un nuovo plesso scolastico; c) manca l’obiettivo dichiarato di ridurre i costi, a meno che non si sia già preventivato di incassare almeno centocinquanta-duecentomila euro dall’affitto della IV Novembre…
Nel tentativo di escogitare una via d’uscita da una situazione complessa, il governo cittadino ha partorito una soluzione peggiore, senza nemmeno concordarla con i Consigli di Zona e con il Provveditore. Inoltre, le scelte di razionalizzazione vengono semplicemente rimandate, perché sono inevitabili alla luce delle politiche scolastiche nazionali.
Non ci si deve meravigliare di queste ipotesi di riassetto organizzativo della rete scolastica cittadina; né della prima versione, né della seconda che prevede il fantasioso smembramento della IV Novembre.
Da anni studio la definizione delle politiche scolastiche a livello globale.
La Giunta comunale di Varese non sta inventando niente. Sta solo facendo (maldestramente) i conti con i devastanti tagli ai bilanci dei comuni italiani inflitti dalle ultime finanziarie. Anche il ministro Gelmini e il governo Berlusconi non stanno inventando niente: stanno semplicemente calando nel contesto italiano, senza tenere in alcun conto gli interessi locali e le logiche territoriali (col tacito avallo della Lega), indirizzi globali di politica scolastica definiti in seno all’Organizzazione Mondiale per il Commercio e all’Unione Europea.
Queste politiche globali mirano a sancire il passaggio dell’istruzione da bene per tutti a servizio commerciale. Per realizzare questa “ritirata” sociale e culturale è necessario abbassare gradatamente la qualità dei servizi pubblici, al fine di spingere le famiglie a scegliere l’istruzione privata.
Esistono decine e decine di studi scientifici che evidenziano la somiglianza delle politiche educative che hanno guidato le riforme scolastiche nei paesi sviluppati e confermano l’esistenza di potenti fattori comuni: decentralizzazione; diminuzione delle ore scolastiche; sostegno crescente alla scuola commerciale a pagamento; sfrondamento dei programmi dagli aspetti di cultura generale, ritenuti superflui.
Capite bene che gli interessi che queste politiche globali – assunte dal governo nazionale e da quello regionale – veicolano non sono quelli delle famiglie comuni, ma ben altri. In questo senso non stupisce che dalla ridefinizione dei plessi scolastici di Varese emerga l’ipotesi che una bella struttura pubblica venga “liberata” per essere attribuita a un ente privato.
Finalmente si sta svelando il progetto politico che mira a smantellare il welfare italiano e lombardo: le sue conseguenze saranno sempre più visibili e presenti nella nostra quotidianità. Dico “finalmente”, perché se non si diviene consapevoli delle conseguenze concrete di quanto sta avvenendo, non è possibile innescare (e pretendere) un cambio di rotta. Il disegno in atto è letteralmente quello di “smontare” il servizio pubblico (in materia di istruzione, formazione, sanità, servizi educativi e sociali) quale garanzia dei diritti di cittadinanza di tutti e consegnare (a volte, regalare) questi servizi a società private che li erogheranno esclusivamente a chi potrà permetterseli.
E’ opportuno riflettere se la società che vogliamo è quella che avanza.
Aggiungo che la necessità di ripensare l’investimento sull’istruzione deriva anche dal bassissimo indice di natalità del nostro paese e della nostra regione. Al di là del patrimonio culturale, delle risorse, del lavoro, la Lombardia non è evidentemente un buon posto per fare figli e per vivere bene: lo affermano le scelte di tante coppie che ritengono di non poter fare figli o di poterne fare solo uno. La mancanza di servizi adeguati a sostenere il carico di cura dei figli, soprattutto femminile, e la crisi del tessuto relazionale e della solidarietà sociale, che sta investendo i nostri territori, hanno edificato muri di solitudine che rendono difficile aprirsi con speranza al futuro.
L’auspicio è che, a partire dalla mobilitazione per salvaguardare le opportunità di istruzione dei nostri figli, nascano il desiderio di un futuro differente e più umano e la capacità di impegnarsi per costruire il cambiamento (che è possibile!).
Silvio Premoli
Ex allievo Scuola Primaria “IV Novembre” (1977-1982)
Dottore di Ricerca in Pedagogia
Docente di Pedagogia generale, Università dell’Insubria Varese
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