“Il ddl sulle intercettazioni? Un orrore”

Gian Carlo Caselli, magistrato e procuratore di Palermo nel dopo-Falcone (1993-1999), ha presentato al liceo Crespi il suo libro "Le due guerre - perchè L'Italia ha sconfitto il terrorimo e non la mafia"

Accoglienza cordiale al liceo Crespi di Busto Arsizio per Gian Carlo Caselli. Il magistrato, procuratore capo a Torino, testimone e protagonista degli ultimi quarant’anni di storia giudiziari, era stato invitato per presentare il volume "Le due guerre – perchè l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia" (ed. Melampo), scritto a quattro mani con il figlio Stefano, giornalista, e con postfazione di Marco Travaglio. Moderava Massimiliano Di Giovanni del gruppo Sole24Ore.
La risposta al quesito del sottotitolo del volume è presto detta: «Il terrorismo venne isolato politicamente: dopo la stagione dell’ambiguità e dei "compagni che sbagliano" si capì che era nemico di tutti. Divenne altro da noi, e fu il pentitismo e la dissociazione di massa. La mafia invece non divenne altro: è un impasto perverso con pezzi di politica, di economia, e d’altro ancora. La sua forza sono le complicità e le coperture: e finchè non le si spezzerà, finchè il riciclaggio di denaro che inquina e corrompe l’economia legale senza troppe resistenze non sarà debellato, la vittoria resterà lontana».

– La mafia che si può combattere, e quella che no
Combattere la mafia non è impossibile. Quella "militare", almeno, quella che spara e mette bombe. Uno dopo l’altro molti boss sono finiti in gattabuia. I guai cominciano quando si vanno ad indagare personaggi potenti in ambienti politici, economici, eccetera. Caselli scrive che consistenti settori dello Stato "hanno preferito perdere una guerra che si sarebbe potuta vincere" pur di non accertare le responsabilità legate al famoso "terzo livello": quello degli intoccabili. 
Il pool antimafia, sotto la guida di Chinnici (vittima di mafia a sua volta) prima, di Caponnetto poi, aveva rivoluzionato i metodi tradizionali d’indagine. Vi era stata a un tempo centralizzazione dei dati e specializzazione dei magistrati: che poi diede la stura alla famosa polemica con lo scrittore Sciascia, fuorviato e usato ad arte da soggetti terzi, dei "professionisti dell’antimafia", perchè, racconta Caselli, «Borsellino era stato promosso a procuratore di Marsala al posto di altri con più anzianità». Falcone e Borsellino, «mitici, eroi» come non si stanca di ricordarli Caselli, aggredirono Cosa Nostra al primo maxiprocesso ma quando indagarono sui Ciancimino padre, sui Salvo e le loro relazioni, «furono aggrediti da una tempesta di calunnie». "Carrieristi", "comunisti", "spregiudicati nell’usare i pentiti", "uso politico della giustizia", eccetera. «Il pool fu smantellato. Il CSM bocciò Falcone come candidato consigliere istruttore, preferendogli un magistrato meno noto. Attorno a Falcone c’era terra bruciata: dovette letteralmente chiedere ospitalità a Roma». Dove aveva molti più nemici che a Palermo. Fra le tante infamie, rincara Caselli, vi fu anche l’accusa di essersi "fatto da solo" l’attentato dell’Addaura (1989) su cui proprio ora si sta riaprendo l’indagine dopo clamorose rivelazioni che hanno ribaltato le versioni di allora. «Chi lo accusò sulla stampa, oggi è senatore».

– Una Procura "in trincea" e un processo che scotta
Assassinati Falcone e Borsellino, è Caselli a guidare dal 1993 al 1999 una Procura "in trincea". Quando si vanno a toccare i vertici della provincia di Palermo, dunque di nuovo la politica, il sistema si difende con tutti i mezzucci. «La strada si fece di colpo in salita». Il politico più in vista di quell’indagine fu assolto in tre gradi di giudizio, ricorda Caselli; non così un fratello, che nella sua villa aveva ospitato il boss Bagarella. Eppure alla fine anche la politica ebbe il suo: è stata l’informazione a far credere che non sia stato così. «La sentenza definitiva del processo a Giulio Andreotti» ricorda Caselli «non fu di assoluzione, come si continua a ripetere, ma di prescrizione» del reato ascrittogli fino al 1980. A Caselli fu poi tolta nel 2005 la possibilità di diventare Procuratore Nazionale Antimafia. «Due volte furono alterate, a partita in corso, le regole del gioco», culminando con un emendamento sui limiti d’età che lo escludeva giusto di quel tanto. «La normativa fu poi dichiarata incostituzionale, ma ormai i giochi erano fatti. Io dovevo pagare per il processo ad Andreotti» dichiara Caselli. «Di tutto, questo è stato il colpo più duro da accettare: ne ho percepito l’ingiustizia, la protervia».

– La battaglia sulle intercettazioni
Negativo il parere di Caselli sul disegno di legge proposto in materia di intercettazioni. «Fino a ieri era un orrore, ora lo è solo in parte. Il testo iniziale prevedeva il ricorso alle intercettazioni non come ora, in presenza di "gravi indizi" di reato, bensì di colpevolezza: una differenza abissale in diritto. Le intercettazioni sono un baluardo della sicurezza dei cittadini, via quelle, il 50% di rapinatori, stupratori, pedofili e quant’altro, la fa franca». Con le modifiche che si stanno introducendo da parte del Senato si è più sottili: «siamo tornati ai gravi indizi di reato, ma vanno interpretati secondo paletti complessi. Nel caso migliore ne sortiranno confusione e spazi di interpretazione». Caselli si accalora: «Si pretendono tre giudici per le autorizzazioni, quando ne basta uno per infliggere un ergastolo; si vorrebbe gettare le informazioni su reati terzi scoperti durante le intercettazioni, per tutelare i vizi privati di qualcuno…» Grave per Caselli anche il bavaglio che si prospetta per la stampa. «Non poter più scrivere niente fino a procedimento definito… è grave anche per noi magistrati, non avremmo più il controllo sociale esercitato tramite la stampa sul nostro operato: anche la critica è importante».

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Pubblicato il 18 Maggio 2010
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