Abbandonare l’euro è il sogno di molti paesi
L'Europa stenta a uscire dalla crisi, la Germania non coopera e detta legge, la Cina compra tutto e l'Italia stenta a trovare una normalità. L'economista Giacomo Vaciago: «La priorità è rimanere un paese industriale»
Qualcuno ad Atene e a Dublino sta sicuramente pensando di uscire dall’euro. E forse qualcun altro lo sta sognando a Lisbona e a Roma. Uscire dalla moneta unica europea consentirebbe di svalutare il debito pubblico e dare più competitività all’economia, oltre che un bel bidone ai propri creditori. Proprio come ai tempi della Prima Repubblica: si svalutava, le esportazioni volavano e le imprese riprendevano a respirare a pieni polmoni. L’economista Giacomo Vaciago ci ha messo dell’ironia, ma i tanti presenti alle Ville Ponti, all’incontro organizzato da Ubi Banca, lo hanno ascoltato senza sorridere troppo. Lo scenario presentato dal noto professore di economia è stato tutt’altro che allegro, soprattutto sulla capacità del’Europa di fare squadra per uscire dalla crisi. «Un tempo l’euro aveva due motori, Francia e Germania – ha detto Vaciago -. Oggi il marito di Carla Bruni è scomparso e l’Angela tedesca (Merkel ndr) va in giro con un matterello da cucina per darlo in testa ai cattivi governi. Sono questi due paesi che tengono insieme l’euro e se la Merkel lo dimentica e minaccia gli altri governi diventa un problema. La Germania in questa fase si comporta più come un competitore che non come un partner».
Quella della sparizione dell’euro è un’eventualità lontana, ma reale. I paesi europei devono cooperare di più e cercare di superare in qualche modo l’egemonia tedesca che in questo momento rappresenta la locomotiva del Vecchio Continente. «La Germania per dieci anni ha tirato la cinghia – ha spiegato l’economista – ora potrebbe un pochino lasciarsi andare, il che significa che dal 2011 la domanda interna tedesca dovrebbe aumentare e conseguentemente anche le importazioni dagli altri paesi, Italia compresa».
Vaciago non è stato tenero con la politica italiana, perché colpevole di aver lasciato il Paese, per oltre un anno e in un momento così delicato, senza un ministro per l’Industria. «Il mondo è cambiato, le buone imprese lo hanno capito. Il Paese no. Bisogna tornare ad essere efficienti e attrattivi per gli investimenti e per esserlo occorre diventare un paese normale».
Americani e cinesi “ballano” da soli: i primi non considerano l’Europa un interlocutore valido; i secondi con il loro surplus di bilancio si stanno comprando tutto, anche le industrie italiane. Non è la fine, ma potrebbe esserlo se non si corre ai ripari. «L‘Italia è un paese industriale e continuare ad esserlo è la nostra priorità. In futuro, occorre investire in tre settori: energia, alimenti e ambiente».
In casa di una banca non si poteva non parlare del ruolo che le stesse hanno giocato nella crisi. «Sono l’acquedotto dell’economia – ha concluso Vaciago – e sulla stretta al credito, dopo il primo periodo di panico, seguito al fallimento della Lehman Brothers, non si puo’ dire che sia continuata. I dati ci dicono che gli impieghi sono diminuiti , ma non perché non ci sono soldi , anzi ce ne sono tanti. Il problema è che mancano le idee da finanziare».
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