“Combatto la povertà con l’architettura”

La storia di Francis Kéré, originario del Burkina Faso, creatore di un'edilizia sostenibile e solidale. Ha vinto lo Swiss Architectural Award 2010

Costruire un villaggio scolastico sfruttando al massimo le risorse naturali del Burkina Faso e il potenziale delle comunità locali: è il progetto realizzato da Diébédo Francis Kéré – promotore di un’architettura sostenibile e solidale e vincitore dello Swiss Architectural Award 2010.

«Se dai un pesce a un uomo, si nutrirà una volta. Se gli insegni a pescare, mangerà tutta la vita». Questo proverbio cinese sembra essere il credo di Diébédo Francis Kéré, la molla che lo ha spinto a tornare in Africa – dopo una formazione in Germania – per condividere il sapere acquisito con il suo popolo e renderlo partecipe del proprio futuro.

Primogenito del capo villaggio di Gando, a duecento chilometri dalla capitale Ouagadougou, Diébédo Francis Kéré porta sul volto i segni della propria origine, e di un destino fuori dal comune. All’età di sette anni lascia la sua famiglia per andare a scuola in un’altra città e imparare il mestiere di falegname. Una scelta forse un po’ folle, in un paese in cui le costruzioni in legno scarseggiano perché divorate dalle termiti, ma che gli apre le porte a un programma del ministero tedesco per la cooperazione economica e lo sviluppo.

«A 25 anni mi sono trasferito a Berlino. Grazie a una borsa di studio, ho seguito il liceo serale e poi mi sono iscritto all’università di architettura», racconta a Swissinfo Diébédo Francis Kéré. «In Burkina Faso le case sono in balia della natura. A volte arriva un acquazzone e spazza via tutto… Fin da piccolo mi faceva arrabbiare vedere con quanta fatica la gente del villaggio costruiva qualcosa, che poi veniva distrutto in un battito di ali. Per questo ho scelto di studiare architettura, per portare stabilità e armonia là dove mancava».

Con il 45% della popolazione al di sotto della soglia della povertà e un tasso di analfabetismo di oltre l’80%, il Burkina Faso è uno dei paesi più fragili del continente africano. «Le comunità vivono prevalentemente di un’agricoltura arcaica, che non basta a coprire il loro fabbisogno quotidiano. L’economia interna deve far fronte non solo alle incertezze dei mercati internazionali, ma anche ai cambiamenti climatici che hanno stravolto le abitudini tradizionali».

Una scuola essenziale e rivoluzionaria – A metà degli studi universitari, Kéré decide di tornare a Gando e di costruire una nuova scuola elementare coinvolgendo nell’opera tutto il villaggio. «Volevo erigere un edificio moderno con materiali a buon mercato e adatti alle condizioni climatiche del Burkina Faso. Nella stagione delle piogge bisogna lottare contro l’umidità del terreno e l’acqua che batte contro le pareti, mentre nella stagione secca le temperature superano i 40°C. Come si può chiedere a dei ragazzi di studiare in queste condizioni e a degli insegnanti di sacrificarsi per venire a lavorare in un forno di campagna?». Così, Kéré elabora un nuovo concetto architettonico, essenziale e allo stesso tempo rivoluzionario. «L’edificio è fatto prevalentemente di mattoni di terra cruda, con un doppio tetto che serve a proteggere dal caldo e dalle piogge, e un sistema di ventilazione naturale, dato che a Gando l’elettricità non è ancora arrivata». Inoltre, il materiale necessario è facilmente reperibile nella regione e, una volta assemblati, i tralicci possono essere issati senza il bisogno di una gru.

Dalla gente per la gente – Il progetto di Kéré è stato elaborato proprio per essere compreso e poi riprodotto, anche se all’inizio non è stato facile convincere la gente del villaggio. «Quando sono tornato, ho spiegato alla comunità cosa volevo fare, ma loro hanno iniziato a scuotere la testa e a chiedermi se mi fossi dimenticato che una casa in argilla non resisteva all’acqua… Pensavano che avessi perso il senno o che gli europei non volessero case in cemento per l’Africa. Finalmente, dopo aver ridisegnato centinaia di volte il progetto con un dito sulla terra rossa, sono riuscito a persuaderli e da allora è stato l’entusiasmo collettivo a prevalere su tutto». Donne, uomini e bambini hanno così partecipato alla realizzazione di una piccola parte del loro futuro, ci racconta Kéré mostrandoci le immagini scattate durante i lavori. La scuola elementare viene costruita nel giro di dieci mesi, con un budget di 50’000 euro, e inaugurata nell’ottobre del 2001. Dalle città vicine iniziano ad arrivare sempre più insegnanti, affascinati da un edificio in grado di proteggerli dai capricci del clima e di favorire così l’apprendimento. Due anni dopo vengono realizzate le residenze per i docenti, dotate di un sistema di canalizzazione per il recupero dell’acqua piovana a scopo agricolo, e nel 2008 il campus si arricchisce di quattro nuove aule e una biblioteca.

Al di là dei progetti in Burkina Faso, Kéré è impegnato anche in Svizzera. Assieme ad altri tre architetti è infatti stato incaricato di realizzare i nuovi locali destinati alla mostra permanente del Museo internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Ginevra.

L’architettura ritrova la sua umanità – Il suo lavoro è stato premiato lo scorso anno con il Global Award for Sustainable architectural e presentato recentemente al MoMA di New York. Il progetto scolastico di Gando – e l’ampliamento di una scuola secondaria nella cittadina di Dano (Burkina Faso) – gli hanno inoltre permesso di vincere lo Swiss Architectural Award, promosso dalla BSI con il patrocinio dell’Ufficio federale della cultura e dell’Accademia di Mendrisio. «Attraverso le opere di Kéré, l’architettura ritrova i suoi significati più profondi, legati a un’attività in grado di affrontare importanti problemi là dove ristagnano sacche di povertà e sottosviluppo che l’architettura non può ignorare», commenta il presidente della giuria Mario Botta nel catalogo della competizione. In questo senso, la costruzione di una scuola nel suo villaggio natio ha una valenza non solo architettonica, ma anche sociale e ambientale. Emigrato in Europa per laurearsi in architettura, Kéré vive attualmente in Germania, ma continua ad impegnarsi per lo sviluppo del proprio paese d’origine.

«L’Africa ha bisogno di noi, molto più dell’Europa», ci dice sorridendo. «Spero che altri giovani trovino il coraggio di tornare, di cominciare da zero e di costruire assieme il nostro futuro. Abbiamo senza dubbio bisogno dell’Europa, che è il tempio moderno del sapere, ma gli europei non possono favorire questi cambiamenti al posto nostro».

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Pubblicato il 26 Novembre 2010
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