Le star della televisione hanno ucciso il teatro

Sempre meno pubblico segue la prosa. Spopolano gli spettacoli "appendice" della tv. De Sanctis (direttore del Teatro Apollonio): «Lo Stato sovvenziona le compagnie teatrali ma non si preoccupa di quello che entra tutti i giorni e in tutte le case degli italiani con la tv»

All’inizio degli Anni Ottanta c’era una canzone inglese che diceva: «La televisione ha ucciso la stella della radio» ("Video killed the radio star", dei Buggles). Un effetto dell’evoluzione tecnologica, quando il nuovo avanza travolge tutto, senza guardare indietro. Lo stesso è accaduto con il teatro: gli spettacoli che attirano il grande pubblico sono per lo più quelli collegati ai programmi televisivi. La prosa, invece, arranca con numeri asfittici. «In quasi tutti i teatri, compreso quello di Varese – dice Filippo De Sanctis, direttore del Teatro Apollonio – sta diminuendo sensibilmente l’afflusso per la prosa. Si salvano il Teatro Stabile di Roma e il Piccolo di Milano. Insomma, la prosa sta morendo».

De Sanctis, come spiega questa crisi profonda?
«Innanzitutto, c’è un dato anagrafico: i grandi attori di prosa del passato, come Vittorio Gassman, Carmelo Bene o lo stesso Santuccio, non hanno avuto eredi artistici giovani e quindi non si è rinnovato. Non c’è più investimento da parte delle produzioni che si affidano a nomi di totale sicurezza. Questo spiega il successo dello spettacolo a teatro di Marco Travaglio».
I personaggi della tv spopolano sempre in teatro?
«Noi siamo dipendenti dalla televisione e quando andiamo in teatro vogliamo che si materializzino i personaggi che vediamo nella scatola magica. Un tempo il teatro lasciava spazio alla fantasia che scaturiva dopo la lettura dell’Amleto,spesso preparata dalla tv che mandava in prima serata il teatro. Ricordo che la trasmissione si apriva proprio con l’apertura del sipario. Tutto questo creava una sensibilità. Oggi ci sono il talk show, i programmi dove i ragazzi si sfidano a colpi di canzone oppure i comici di cabaret che quando arrivano in teatro fanno il pienone. Mentre la prosa fatica a restare in superficie»
Non mi dica che anche in questo caso all’estero è meglio? Molti format televisivi sono globalizzati. Tutto il mondo è tv.
«Nel Nord Europa questa tendenza è meno marcata. Ad esempio, in Germania viene dato molto spazio alla cultura in tv in orari accessibili a tutti».
Lei ha fatto il direttore anche al Franco Parenti di Milano. Anche lì le cose andavano in questo modo?
«Allora, il Franco Parenti aveva un grosso slancio nel cogliere le novità nei testi di drammaturgia . Insomma, lì c’era la preoccupazione di cosa sarebbe stato il teatro di domani. I teatri stabili in genere hanno più il polso della situazione. Ma ciò che arriva nei teatri sono le produzioni delle compagnie che sono addormentate a causa di un assistenzialismo statale che non ha più senso».
Lo Stato non dovrebbe più sovvenzionare le compagnie teatrali?
«Le compagnie ricevono uno stipendio statale, guardi che non parliamo di bruscolini: i fondi ammontano a svariate decine di milioni di euro. Una buona compagnia di prosa arriva a prendere 700 mila euro all’anno. I costi ci sono tutti, ma quando lo stato dà una media di 200 mila euro a compagnia, capisce che gli stimoli a innovare sono pochi».
Quindi non le dovrebbe più sovvenzionare?
«Lo stato dovrebbe staccare la spina e fare un’eutanasia culturale, non curarsene e lasciarlo andare al proprio destino. Se uno Stato investe milioni di euro nelle compagnie e poi non investe nella cultura che arriva negli occhi di tutti e in tutte le case, cioè nella tv, vuol dire che si ostina a tenere vivo un morto sprecando risorse. Gli show televisivi e i loro protagonisti rubano le parti in commedia. Sono format che vanno bene per tutti e dove non emerge la parte artistica di un autore. Il colpo di grazia l’hanno dato i talk show politici».
Il teatrino della politica non è quindi solo un modo dire?
«No, è calzante, perché gli show dei politici hanno invaso il palcoscenico. Ognuno recita a soggetto in una tragicommedia: se non entri in uno scandalo politico non puoi diventare famoso. A destra ci sono i fatti privati, i tradimenti; a sinistra c’è lo zio bacchettone che si indigna. Ormai è una deriva inarrestabile perché se non vedi “Anno zero” in tv non hai la possibilità di commentare il giorno dopo in ufficio. E l’agenzia di Lele Mora lavora a pieno ritmo».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Novembre 2010
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