Il giovane fermato respinge le accuse
Accuse pesanti per il ventiduenne fermato sabato su una nave salpata da Genova: omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere. "Ma non l'ho uccisa io". Si cercano i complici
Il comandante dei carabinieri di Bergamo l’ha definita "una fase cruciale e delicata delle indagini". Non a caso. Il fondato sospetto degli investigatori, confermato in parte dalle dichiarazioni rese dall’immigrato marocchino fermato sabato su una nave salpata da Genova, è che il giovane non abbia agito da solo contro Yara Gambirasio, che nel tardo pomeriggio del 26 novembre stava tornando a casa da sola, a piedi, in via Rampinelli a Brembate Sopra.
E dopo l’arresto nelle acque del mar Ligure gli inquirenti coordinati dal pubblico ministero Letizia Ruggeri puntano molto sulla possibilità di una confessione del marocchino ventiduenne, operaio edile con residenza a Montebelluna (Treviso). Confessione che non c’è stata, anzi: il giovane operaio ha respinto più volte l’accusa di omicidio. A suo carico anche quella di sequestro di persona e occultamento di cadavere. L’arresto del marocchino è stata una sorpresa nel bel mezzo di indagini che sembravano in un vicolo cieco. Sembravano, ma in realtà erano indagini ben coperte da chi indaga.
Da chi, dopo 9 giorni dalla scomparsa di Yara, sembra essere vicino ad una soluzione del caso. Anche grazie ad intercettazioni telefoniche dalle quali è spuntata una frase del giovane marocchino arrestato: "Allah mi perdoni, non l’ho uccisa io". Ma siamo ad un’accusa di omicidio senza che vi sia stato il ritrovamento di una persona morta e senza che ci sia stata una confessione. Mancano alcuni pezzi per chiudere il quadro, che resta quello di una storia tragica per una semplice e silenziosa famiglia di Brembate Sopra.
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