Sparò all’ex-inquilina, 1 anno e 4 mesi di carcere
Antonio Ebbene aveva sparato con un fucile a pallini verso Loredana Siciliano in un cortile di Sumirago. Secondo il pm e i giudici senza l'intenzione di uccidere, per questo il tentato omicidio è stato derubricato a lesioni aggravate
Aveva sparato alla sua ex-inquilina con un fucile da caccia e in un’altra occasione aveva violato il suo domicilio e aveva tentato di strozzarla: per questo Antonio Ebbene, 75enne residente in una corte di Quinzano, frazione di Sumirago, è stato condannato dal collegio giudicante presieduto dal presidente Toni Adet Novik, ad 1 anno per lesioni aggravate e 4 mesi di carcere per violenza e minacce (questi ultimi riferiti ad un altro capo d’imputazione riguardante sempre gli screzi tra Ebbene e l’ex-inquilina).
Il fatto avvenne nella tarda sera del 22 ottobre 2007, proprio nel cortile del caseggiato (nella foto), la vittima si chiama Loredana Siciliano e quel giorno era tornata in quel luogo per recuperare il suo cagnolino dopo che lo stesso Ebbene l’aveva sfrattata dall’abitazione perchè non pagava regolarmente il fitto. Quella sera l’uomo imbracciò il fucile Beretta caricato a pallini e sparò in direzione della donna ma ad un’altezza tale che solo qualche pallino della rosata la colpì alla testa causandole lesioni, fortunatamente, non gravi. Per lui il pubblico ministero Silvia Isidori aveva chiesto 3 anni per lesioni aggravate (inizialmente fu accusato di tentato omicidio), violenza e minacce.
Alla lettura della sentenza era presente lo stesso Ebbene che ora ha 75 anni e si muove con l’ausilio di un supporto. Nonostante i problemi di salute "Braccio di ferro", come lo hanno soprannominato i suoi compaesani, ha voluto essere presente al fianco del suo legale Alfonso Ceron. L’avvocato di parte civile Matteo Pelli aveva sostenuto la tesi del tentato omicidio: «Se la mia cliente fosse arrivata in quella corte indossando scarpe con i tacchi ssaremmo qui a raccontare una cosa diversa – ha detto a margine dell’udienza visibilmente insoddisfatto – se non ci fosse stata l’intenzione di uccidere avrebbe sparato in aria e non a 180 cm di altezza. Inoltre non avrebbe atteso che si accendesse la luce, segno evidente che voleva riconoscere la sagoma della donna per colpirla».
La pm ha usato esattamente le stesse motivazioni per sostenere la tesi contraria aggiungendo che l’uomo, esperto cacciatore, conosceva bene le potenzialità dell’arma. Secondo la Isidori l’uomo ha sparato ad un altezza di trenta centimentri superiore a quella della donna, e ha atteso l’accensione della luce per evitare di colpirla, per questi motivi è difficile stabilire la volontà di uccidere . L’intenzione, certamente, era quella di provocare lesioni. Solo due pallini, infatti, hanno colpito la testa della donna. «Pallini che – ha dichiarato il difensore della donna – nessun chirugo può asportare e che rimarranno tutta la vita tra la cute e la scatola cranica della Siciliano».
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