Laureato o no, sono sempre un infermiere

Le riflessioni di un laureato che rivendica l'importanza di un ruolo e di una preparazione che costituiscono il nerbo della professione

Caro direttore, mi chiamo Stefano Parise, sono un infermiere laureatomi nel 2005 presso l’Università dell’Insubria di Varese, ho lavorato per 3 anni al Pronto Soccorso di Gallarate e ora da quasi altri 3 lavoro presso l’ EOC di Lugano.

Le scrivo in merito alle due lettere apparse sul suo sito e vorrei lasciare un mio commento, sperando venga pubblicato. 
Innanzitutto sono dispiaciuto che il collega di Busto Arsizio non si sia firmato, poiché se non ci firmiamo non ci esponiamo, e se non ci esponiamo non risolviamo i problemi ma rimaniamo nascosti dietro un angolo rischiando di non uscire dall’tunnel che purtroppo NOI infermieri a volte cadiamo.

Mi spiego meglio: viviamo in un paese dove manca la cultura sociale e professionale infermieristica, le aziende ospedaliere, le cliniche e le altre strutture investono poco sulla formazione e sulla qualità dell’assistenza infermieristica. La gente comune non sa, ma siamo noi a doverlo far sapere! Sono anche io laureato, capisco il collega che probabilmente dopo una Laurea ed un Master oltre a non aver nessun riconoscimento (se non di carattere personale) si sente un mero esecutore, che corre avanti in dietro per 8 ore per poi tornare a casa esausto e chiedersi ”ma cosa ho fatto oggi??”.

Comprendo il dispiacere che viene fuori dalla lettera del collega,dello “sbaraglio” che spesso si avverte, lasciati in balia di sé stessi…. Ma siamo NOI infermieri a dover far cambiare questo senso comune di figura generalista che fa un po’ lo psicologo, un po’ il fisioterapista, un po’ il nutrizionista e un po’ il medico.

Sicuramente sarai una persona molto valida visto il tuo percorso di studi, vedrai che troverai anche tu le tue soddisfazioni e gratificazioni! Basta cercarle!Poi la cosa bella del nostro lavoro… è che se non ci piace o siamo stanchi di un reparto e delle sue dinamiche… ragazzi…si può sempre cambiare, propone una vastità di aree che pochi possono vantare! 
Attenzione poi… a volte può essere un’arma a doppio taglio se non usata correttamente la parola “Laurea” o “dottore in scienze infermieristiche”! 
Io non mi sento né “laureato” né “dottore”.Non voglio sminuire i miei studi! Anzi!Però non sono mai stato d’accordo con la riqualificazione terminologica- tipo dottore in scienze infermieristiche, oppure dottore in fisioterapia per fare due esempi- ,tanto che mi veniva da sorridere quando mi arrivavano a casa le buste paga con scritto Dottor Parise Stefano -. Mi sento semplicemente Infermiere, poiché non è un nome o un epiteto che cambia la connotazione alla nostra professione, ma è il saper essere oltre che il saper fare!Non rinnego assolutamente i 3 anni di laurea triennale! 
Sono fondamentali per la nostra cultura professionale e ora mi rendo conto come a 20 anni avrei dovevo studiare di più !

Per quanto concerne la lettera del Dott. Cereda, concordo con lui per quanto concerne il concetto prendersi delle responsabilità –vedi il firmarsi-, ma avrei un appunto in merito a 2 passaggi della sua lettera. Il primo, ove dice: “Il resto del suo racconto è vita di reparto, da sempre funziona così e funzionerà sempre così, è il suo lavoro, l’ha scelto e la pagano quindi sinceramente non vedo dove stia il problema”.

Bhè… non sono d’accordo poiché il concetto “era così e sarà sempre così” è poco edificante…quasi da rassegnazione, quasi che i problemi esistono, si conoscono ma non si vogliono affrontare.
Poi… lavorando oltre confine, smentisco di guadagnare 8000 franchi (magari!!!!!!), ma il punto centrale sta sempre nelle prime righe… ossia… c’è una cultura sociale e professionale diversa in ambito sanitario e infermieristico. 
L’esempio lampante sono io: per due anni pagato dall’ente per essere formato per ottenere la specializzazione in cure infermieristiche, tanti concetti tecnico-teorici, ma soprattutto tanti concetti di carattere socio-umanistico indispensabile per la nostra professione, per avvicinarci alla malattia, alla morte e alla sofferenza, di pazienti e ancor più dei loro famigliari. Poi vorrei sottolineare quel concetto di parità, di rapporto orizzontale e non verticale,con le altre figure professionali (medici soprattutto). Questa cultura sanitaria…fa la differenza, e negli anni si potrà ottenere anche da noi, basta cercarla! Certo mi ritengo fortunato, ma in qualsiasi posizione di troviamo… crediamoci. 

Cordiali saluti.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Febbraio 2011
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