Linea Cadorna, “facciamola diventare ufficialmente un museo”
Un intervento, su un "museo diffuso" dimenticato: a farlo, Matteo Sacchetti, Segretario Generale dell'Ordine degli Architetti di Varese, componente del Direttivo dell’Ecomuseo del territorio dei laghi prealpini
Una mattina umida. Come tutte le mattine a quell’ora. Un’ora in cui sbadigliano anche i gatti. E ho detto tutto. Il caporalmaggiore Matteo Sacchetti pensava alla sua Roma. Quella Roma che a quest’ora ancora dormiva, ma che era già tiepida. Tiepida di una primavera già da tempo iniziata ma che a queste latitudini ancora si faceva attendere. Ma lui era lì. A cavallo tra due laghi ancora sconosciuti. A scavare gallerie per placare le ansie del vecchio general Cadorna. Senza disegni, senza rilievi, senza precise indicazioni. Come spesso accadeva nell’esercito. Per questioni di segretezza, gli dicevano. Per disorganizzazione, pensava lui. E quindi doveva improvvisare. Alternare gallerie a postazioni di mitragliatrici nei punti più panoramici. Trincee a piccoli bunker dove piazzare cannoni con l’occhio puntato verso il lago. Azzurro e umido. Era il 16 aprile 1916. Se solo avesse saputo che in tutti quei cunicoli nessun soldato avrebbe mai combattuto si sarebbe sentito ancora più inutile. Ma sicuramente più felice.
Questo racconto è assolutamente inventato. Ma potrebbe essere vero.
Il general Cadorna temeva una possibile discesa da Nord degli Imperi Centrali, e per questo pensò di dover fortificare tutto il confine tra la Val d’Ossola e il lago di Como. Così, in pochissimo tempo fece traforare le Prealpi con gallerie e trincee. Il tutto per difendere la zona industriale della vicina Milano. Ma nella Grande Guerra che sarebbe iniziata dopo poco più di quattro mesi, la Linea Cadorna non avrebbe avuto pressoché alcun ruolo. La costituzione a Varese del Comando Occupazione Avanzata Fronte Nord portò armi e soldati a occupare la Linea Cadorna. Ma il Veneto, luogo di vere e cruente battaglie, ne richiamò tutti gli occupanti, fu così che arrivò a svuotarsi completamente alla fine delle ostilità.
Ma la paura atavica della discesa di invasori dal Nord prese corpo anche nella mente di Mussolini che, con la costruzione del Vallo Alpino, deliberò anche la realizzazione di lavori di manutenzione della Linea Cadorna. Che da linea difensiva passò al ruolo di avamposto offensivo quando Mussolini, nell’imitare il Fuhrer, si mise in testa di invadere la Svizzera. Fu così che la Linea Cadorna si ripopolò con i 700 uomini del battaglione Camicie Nere Como ma, all’abbandono del progetto espansionistico, ritornò a svuotarsi completamente. Solo alcuni scontri tra partigiani e nazi-fascisti, dopo l’otto settembre, fecero riecheggiare il rumore degli spari nelle gallerie della Linea Cadorna. E da lì è stata dimenticata. O meglio, si è voluto dimenticarla, come si è voluto dimenticare tutto quello che riguardava la guerra negli anni cinquanta. Ma la Linea Cadorna portava con sé un’enorme potenzialità. Data dalla coincidenza tra strategia militare e visione del paesaggio. Come per il sistema delle fortificazioni medioevali che ancora oggi offrono punti di vista strategici per il sistema del paesaggio, così la Linea Cadorna si affaccia continuamente verso scorci di paesaggio prealpino di incredibile bellezza, con il valore aggiunto della quasi completa compatibilità con quello di cento anni fa. Il definitivo abbandono delle funzioni belliche consente, così come capitato alla Route 66 americana con l’apertura del nuovo asse autostradale, un riutilizzo di questo museo lineare naturale.
Premesso che bisogna lodare e appoggiare tutti gli interventi puntuali di rivalutazione della Linea Cadorna, come il Centro Visitatori di Marzio e il Centro Documentazioni di Cassano Valcuvia, soprattutto se paragonati alle lottizzazioni di Luino che hanno demolito parti di gallerie, occorre però intervenire in modo coordinato e scientifico. In primo luogo si deve considerare tutto il percorso della Linea Cadorna come un unico elemento omogeneo con forte valenza museale. Lo spazio museale si caratterizza in presenza di tre elementi fondamentali: il contenitore, la collezione e i visitatori. Nel caso del museo diffuso della Linea Cadorna il contenitore e la collezione coincidono e comprendono tutti gli elementi costruiti circa cento anni fa. E proprio come si deve fare in presenza di una collezione museale si deve prima di tutto avviare una catalogazione scientifica della suddetta collezione. Occorre in primo luogo redigere un rilievo con moderni sistemi laser per la realizzazione di modelli digitali tridimensionali di tutto il percorso. Dopodiché, sulla scorta anche di quanto fatto per la vicina linea della guerra bianca dell’Adamello, si devono catalogare tutti gli elementi presenti, dividendoli tra gallerie, trincee, bunker, caserme, e fin qui appare facile, ma arrivando anche a definire le postazioni per mitragliatrici, per obici, o semplici osservatori. La difficoltà nasce sia dal tempo passato, che ha modificato i luoghi, sia da interventi spontanei successivi, sia dalla mancanza di documentazione storica di progetto e rilievo.
Una volta completata la catalogazione si dovrà elaborare un abaco degli interventi possibili per il recupero dei vari “tipi”, da mettere a disposizione di tutte le amministrazioni locali al fine di consentire interventi corretti dal punto di vista scientifico e coordinati tra loro.
Solo con questo approccio scientifico, la Linea Cadorna potrà essere correttamente salvaguardata e tutelata. Senza necessità di vincoli legislativi, ma con la conoscenza della popolazione, che rappresenta il vero vincolo per la salvaguardia necessario al completo recupero dei luoghi e dei manufatti della Linea Cadorna.
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