“L’anestesia fa paura, perchè è un salto nel buio”

Il dottor Giovanni Ambrosoli è il principale anestesista della day surgery. Vede ogni giorno decine di persone in attesa dell'intervento

Il dottor Andrea Ambrosoli Andrea Luigi Ambrosoli, 37 anni, lavora all’ospedale di Circolo da più di 12 anni, cioè dal giorno della sua laurea all’Università dell’Insubria. È un giovane medico che parla con grande passione del suo lavoro: « È una specialità poco conosciuta perché non vivi il rapporto principale con il paziente. L’anestesista, però, è il centro attorno a cui ruota la sala operatoria. È quello che deve sapere di ogni singola specialità e sa interagire con tutte. Ecco cosa mi ha affascinato di questa professione: la possibilità di avere il quadro generale».

La passione per la rianimazione è cresciuta ai tempi del volontariato in Croce Rossa: « Ero studente di medicina e mi colpì il ruolo del medico rianimatore che sa affrontare tutte le emergenze, che salva la vita e poi affida il paziente stabilizzato. Non sono pentito di questa mia decisione, amo il mio lavoro e lo faccio con grande passione».

Nonostante sia il responsabile della Day Surgery, braccio destro del primario Martino Cantore, il dottor Ambrosoli arriva puntuale alle 7 ogni mattina, dal lunedì al venerdì: « Voglio essere presente quando arrivano i pazienti. Li accolgo e li tranquillizzo. In questo reparto c’è l’obbligo del sorriso: voglio che le persone, già spaventate, trovino un ambiente sereno e famigliare. Quotidianamente sosteniamo un centinaio di sedute operatorie. Sono interventi che prevedono le dimissioni nell’arco della giornata, ma la tensione è identica a quella che si vive nell’altro blocco operatorio».
Il ruolo dell’anestesista richiede grande lucidità e prontezza di riflessi: «Ho vissuto momenti difficili come quando ho dovuto prendere decisioni a rischio. Purtroppo capita: hai giusto qualche secondo per fare scelte fondamentali per la vita altrui, e non puoi farti assalire dal dubbio: il lavoro dell’anestesista è così, si vive e lavora nell’istante. Chiaro che lo studio, la preparazione, l’esperienza aiutano a essere sempre più decisi  e determinati. Poi c’è sempre il fallimento della scienza che devi imparare ad accettare, il senso di smarrimento e di dolore che leggi negli occhi dei parenti e degli amici di chi non si è potuto salvare. Ti assale un senso di impotenza…».
Non rinuncerebbe a nulla della sua vita, nemmeno del lato sociale della professione: « Vieni a contatto con un’umanità varia, a volte difficile da gestire. Qui arrivano i problemi di tutti: ma rifarei esattamente ciò che ho fatto. È un lavoro che dà senso alla mia vita. Aiutare chi ha bisogno di aiuto ed essere al suo fianco nel momento del bisogno fa accettare anche i limiti della mia professione».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Novembre 2011
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