Aspettando la crescita, le piccole imprese licenziano
Negli ultimi dodici mesi in provincia di Varese sono stati licenziati 3.002 (+18,8%) lavoratori di piccole aziende, 34.461 (+10,3%) in Lombardia. «La cassa integrazione in deroga ha funzionato solo in parte»
Il dato di fine anno parla chiaro: aumenta il numero di lavoratori licenziati nelle piccole imprese, quelle che occupano fino a 15 dipendenti. Solo nel mese di novembre sono stati 258 in provincia di Varese (di cui 6 frontalieri), 3.154 in Lombardia (di cui 8 frontalieri). Se si allarga lo sguardo agli ultimi dodici mesi si sale a quota 3.002 (+18,8%) licenziamenti nel solo Varesotto, 34.461 (+10,3%) in tutta la regione (fonte Cgil, Cisl e Uil).
Un’emorragia continua e costante, contro la quale poco ha potuto il laccio emostatico rappresentato dalla cassa integrazione in deroga, riservata, appunto, alle piccole imprese. Nonostante l’ammortizzatore sociale sia stato rinnovato per tutto il 2012, non cala la preoccupazione delle associazioni di categoria. «L’ aumento dei licenziamenti – spiega Roberta Tajé, direttore di Cna Varese– dipende dal fatto che molte piccole imprese hanno utilizzato tutta la cassa integrazione a loro disposizione. Quindi, se da una parte la cassa in deroga è stata fondamentale per tanti artigiani che non avevano altri strumenti a disposizione per fronteggiare la crisi, dall’altra è preoccupante perché per alcune imprese non si è trasformato in uno strumento utile e risolutivo. In molti casi c’è stato un effetto domino perché molti piccoli imprenditori lavorano per grandi imprese che da mesi non danno commesse perché a loro volta in crisi».
Nel 2011 in provincia di Varese sono state autorizzate 13 milioni e 800 mila ore di cassa integrazione ordinaria, 10 milioni 560 mila di cassa straordinaria e 4 milioni e 408 mila ore di cassa integrazione in deroga. «Quest’ultima – continua il direttore di Cna – è stata stata utilizzata anche da grandi aziende che avevano esaurito i loro ammortizzatori. Ciò che ci aspettiamo ora è una riforma degli ammortizzatori sociali, in quanto la cassa in deroga viene prorogata di anno in anno, mentre le imprese hanno la necessità di avere strumenti certi e prevedibili».
Da un questionario, che la stessa Cna ha fatto tra i suoi associati, emerge tra gli artigiani una forte preoccupazione per il futuro e al tempo stesso la voglia di non mollare perché convinti in una ripresa del mercato. Una speranza che contrasta con chi invece sostiene che il territorio – come molti altri – stia attraversando una fase di declino industriale, soprattutto in alcuni settori considerati maturi, come quello meccanico e tessile. “La medicina” a cui si ricorre, soprattutto a livello teorico, per far fronte a questa situazione, è quella delle reti di impresa. «La bacchetta magica non esiste – conclude Tajè -. Per i settori cosiddetti maturi non va pensata una dismissione perché hanno fatto il loro tempo, ma gli va data una nuova veste, più moderna, usando l’arma vincente della qualità dei prodotti. In questo le reti di impresa possono aiutare, perché stare sul mercato globalizzato insieme ad altre imprese è meno complicato».
Rilancio industriale e rilancio dell’occupazione sono per Carmela Tascone, segretario provinciale della Cisl, le due vie di uscita dalla crisi. «Da tempo – dice la sindacalista – noi sosteniamo che va rimessa al centro una politica industriale sul piano nazionale e definire una prospettiva concreta sul piano della ricerca e dell’innovazione. Non è sufficiente considerare gli ammortizzatori come mezzi passivi di sostegno al reddito. La sfida di oggi e di domani è capire che la professionalità del lavoratore ha un valore in relazione alla continuità del lavoro, ecco perché bisogna sostenere le scelte sulla crescita».
Un’affermazione che chiama in causa il governo Monti e il pacchetto tanto atteso sullo sviluppo economico. «Alcune cose di questa manovra, come liberalizzazioni, risorse per le infrastrutture, consolidamento della politica industriale – conclude Tascone – sono positive per la crescita, ma ancora insufficienti. Non dobbiamo dimenticare che noi siamo un Paese trasformatore e quindi dobbiamo puntare al massimo sull’innovazione, sulla riqualificazione e ridare centralità all’occupazione».
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