Tassisti di provincia, “altro che casta”
Non è facile fare il tassista a Busto e in provincia, con Malpensa a due passi e Milano poco lontana. L’inchiesta di Varesenews nel mondo della auto bianche nella piccole città svela trucchi ed escamotage della categoria
Fare il tassista in provincia, lontano dalle grandi città, non è poi così facile. Lo sanno bene i conducenti della trentina di auto bianche che, quotidianamente, prendono servizio per le vie di Busto e delle città intorno. In città esistono due parcheggi per taxi, uno in centro (in piazza Garibaldi) e uno davanti alla stazione di FS ma molto difficilmente in questi parcheggi si incontrano lunghe file di auto bianche ad attendere i passeggeri. Questo perchè «noi abbiamo le stesse regole delle grandi città ma un tipo di lavoro diverso» spiega un autista. Il lavoro di un tassista in provincia si suddivide tra viaggi medi e corti «principalmente verso l’ospedale» e, raramente, viaggi molto lunghi in altre zone della regione o di Italia (qualche volta anche all’estero «fino anche al nord Europa»). E’ la prima categoria di viaggi, ovviamente, quella che ricoprire il maggior numero di corse e così «capita che aspetti molte ore in parcheggio per poi fare una corsa da 7-10 euro».
Per portare la giornata a casa, bisogna correre ai ripari e il primo porto sicuro per i tassisti è Malpensa. E’ lì che si fanno i veri affari. Una corsa dallo scalo aeroportuale fino a Milano o viceversa costa 90 euro (la tariffa è fissa), per Varese 65 mentre da e per Busto gli euro sono “solo” una trentina. Per questo la gran parte delle auto bianche della zona si concentrano nello scalo, lasciando “sguarnite” le città per le quali hanno ricevuto la licenza. L’altra ancora di salvezza degli autisti lontani dalle grandi città, anche se non del tutto legittima, è quella di trovare dei “clienti fissi”. «Ci sono alcune persone -spiega uno di loro- con cui entriamo in confidenza» e che quindi «quando hanno bisogno, chiamano direttamente noi».
I tassisti ricorrono a questi “escamotage” perchè «non si può sopravvivere con corse da poche decine di euro» anche perchè «i costi di gestione continuano ad aumentare ma le tariffe no». Il solo gasolio per far muovere le macchine «è cresciuto del 27%, le nostre tariffe invece sono rimaste al palo». In più ci sono i costi delle assicurazioni, conteggiati in «migliaia di euro», quelli per l’usura della macchina e un’altra serie di piccoli balzelli come «il pos per i pagamenti con carta di credito che costa 25 euro al mese». Oltre ovviamente alle centinaia di migliaia di euro per ottenere la licenza.
Oggi, comunque, «riusciamo a guadagnare a sufficienza» ma liberalizzando il mercato «sarebbe una sciagura». Con una nuova ondata di licenze, oltre alla rabbia per veder sgretolare i sacrifici di una vita per comprarle, i nuovi mezzi sulla strada «distruggeranno il mercato». Il ragionamento che fanno i tassisti è semplice: il taxi si rivolge ad una particolare categoria di persone e un abbassamento delle tariffe non avrebbe un proporzionale aumento della domanda. In altre parole «se andare da Malpensa a Milano non costerà più 90 euro ma, ad esempio, 60» questa riduzione non spingerà a scegliere il taxi molti di quelli che «oggi usano il treno che costa tra 7 e 12 euro». Scenderanno le tariffe, i passeggeri non aumenteranno in modo significativo e quindi «come faremo ad andare avanti?».
Quando, parlando con loro, pronunci la parola “casta”, sorrisi di disappunto curvano i volti. «Io domani mattina alle 5 devo andare a prendere il primo cliente per portarlo in aeroporto…di che casta farei parte?» si chiede retoricamente un autista. Poi certo, anche loro ammettono che «qualcuno che fa il furbo c’è, qualcuno che truffa i passeggeri o qualcuno che evade» ma la soluzione sarebbe «punire loro, non criminalizzare l’intera categoria». E oggi, mentre le auto rimarranno parcheggiate, gli occhi di tutti saranno rivolti a Roma.
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