Il testamento morale di un capitalista
Pubblico e privato di Cesare Romiti nel libro intervista di Paolo Madron, “Storia segreta del capitalismo italiano” edito da Longanesi
Sì, c’è molta, moltissima storia nel libro-intervista di Paolo Madron “Storia segreta del capitalismo italiano”: un testo proposto da Longanesi sotto forma di lungo colloquio con Cesare Romiti.
Di segreto, in realtà, non vi è molto, se non ovviamente il ricordo che Romiti esplicita degli anni in Fiat e della successiva impresa editoriale nell’amministrazione di Rcs. Aneddoti. Interazioni coi poteri del Paese. A cominciare dal rapporto privilegiato con Enrico Cuccia (Quando qualcuno gli proponeva un affare che riteneva non conveniente diceva “Chiacchiere e tabacchiere di legno, il Banco di Napoli non si impegna” – un vecchio proverbio napoletano: fantastico), la quasi amicizia con l’Avvocato (“che non parlava di donne, ma “con” le donne), la figura di De Benedetti, Bazoli, il “nemico” Abete e il caso Gardini, le figure di Montezemolo, Gelli, Craxi, Berlusconi.
Sì, le stagioni del capitalismo italiano ci sono, in questo libro, e vengono fotografate dalle spesse lenti di uno dei suoi principali interpreti.
Ma, dopo aver affrontato la completa e a volte critica prefazione di Ferruccio de Bortoli, direttore del Corsera, e la gran parte del testo, ci si imbatte in qualcosa di più. Si tratta delle ultime risposte all’intervista e poi ancora alla postfazione scritta di pugno dallo stesso Romiti dove egli stesso specifica il senso dell’opera.
In maniera a tratti anche commovente l’ottuagenario manager si rivolge ai più giovani con frasi che colpiscono per la loro efficacia e forza autorevole. “Vorrei ricordare ai giovani – scrive Romiti – che oggi è come se ci trovassimo alla fine di una guerra, con tante macerie intorno. Allora (si riferisce all’ultimo conflitto mondiale nda) erano macerie materiali, oggi sono macerie morali: ci sembra che non esistano più principi, che non esistano più l’onestà e la rettitudine. Non è così, dato che se lo vogliamo tutti, uno per uno, riusciremo a rimuovere le macerie e a tornare a vivere una vita normale. Con noi «vecchi» che vi vogliamo solo accompagnare ed aiutare”.
Parole autorevoli. E anche rispetto a questo, all’autorevolezza, Romiti ha qualcosa da dire, un refrain che si legge tra le righe di un uomo che apprezza la forma, il dettaglio di stile anche nel vestire (cravatta anche al sabato nelle riunioni in Fiat). Perché? “Perché l’esempio è la più forte forma di autorevolezza: chi comanda è autoritario, chi convince è autorevole”. Esempio di forma, esempio morale: “Ai nostri figli dobbiamo insegnare che le cose scorrette non si fanno, non perché esistono i tribunali, ma perché esiste la coscienza di ciascuno, che deve discernere tra il bene e il male. Nella mia concezione ci sono alcuni uomini che pur non avendo ricevuto avvisi di garanzia, sono più riprovevoli di altri finiti sotto processo”.
Un libro interessante, mai pesante, anche se in alcuni tratti più per iniziati che per i neofiti di quel melange politico-affaristico-economico che si nasconde fra i titoli delle pagine economiche dei principali quotidiani, anche di taglio generalista.
Per questo appare azzeccata la scelta di dedicare l’ultima appendice del testo ai “personaggi e interpreti” degli ultimi 60 anni d’Italia.
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