La picchiava con la livella da muratore, marito violento in manette
Dopo un anno di violenze continue la donna ha trovato il coraggio di farsi medicare al Pronto Soccorso dove i sanitari l'hanno convinta a denunciare, insieme ai rappresentanti della comunità musulmana
Per andare al Pronto Soccorso si è dovuta inventare delle scuse credibili altrimenti il marito glielo avrebbe impedito. Così è emersa l’ennesima storia di violenza sulle donne tra le mura domestiche, questa volta a Ferno. Vittima una donna marocchina di 23 anni, sposata con il ventottenne connazionale N.K., ora in prigione con l’accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. La misura cautelare è stata richiesta dal Sostituto Procuratore della Repubblica Nadia Calcaterra, sulla base della ricostruzione dei fatti condotta dagli agenti del commissariato di Gallarate. I poliziotti hanno infatti raccolto la denuncia della donna, stanca delle continue vessazioni, che pochi giorni prima si era dovuta rivolgere al Pronto Soccorso gallaratese bisognosa di cure sanitarie.
Non è stato facile arrivare alla denuncia a causa dello stato di forte soggezione e paura nella quale la giovane era sprofondata da quando si era ricongiunta al marito in Italia. Per sottoporsi alla visita medica, infatti, aveva fatto ricorso ad un sotterfugio, dicendo all’aggressivo marito di dover espletare alcune ordinarie commissioni familiari: solo così aveva superato il rigido divieto impostole di non riferire a nessuno delle violenze subite.
I medici del Pronto Soccorso le hanno riscontrato lesioni giudicate guaribili in quindici giorni, provocate da percosse inferte con corpi contundenti. Spinta dal bisogno di cure, la donna aveva sì superato la paura delle ritorsioni del marito, ma non ancora pienamente acquistato la fiducia necessaria a raccontare il proprio calvario; è stato dunque risolutivo l’intervento degli agenti, contattati dai sanitari, che hanno pazientemente tranquillizzato la donna ricevendo una dettagliata denuncia.
La stessa ha raccontato di subire maltrattamenti fisici e morali perfino durante la gravidanza del figlio, che oggi ha nove mesi, consistiti in frequenti percosse, talvolta sfociati in serie lesioni personali mai curate per la paura nei confronti del marito il quale le proibiva di muoversi autonomamente per evitare che emergesse la realtà all’esterno delle mura familiari. Le era assolutamente vietato di uscire di casa senza autorizzazione e di intrattenere rapporti personali con persone non appartenenti alla famiglia, formata peraltro dai parenti del marito e dunque con lui solidali nel quadro di valori familiari impostati sulla massima arretratezza sociale.
Per indurla all’obbedienza erano continue le ingiurie e soprattutto le minacce di sottrarle il bambino e di allontanarla definitivamente presso la famiglia di origine in Marocco, quale sorta di ripudio coniugale da parte di un marito peraltro spesso in stato di alterazione alcolica e da stupefacenti. I gravi e dolorosi effetti delle percosse subite la sera del 23 maggio l’hanno però indotta a ricorrere alle cure mediche del Pronto Soccorso, consentendo così di fare emergere la situazione. Agli agenti ha raccontato di essere stata violentemente picchiata con una livella da muratore, peraltro mentre teneva in grembo il bambino; circostanza ampiamente confermata non solo dal sequestro dell’oggetto presso l’abitazione, ma anche dalla stessa forma delle ampie ecchimosi sulle braccia e sull’addome. La donna è stata tempestivamente collocata presso una struttura protetta grazie alla collaborazione dei servizi sociali del Comune di Ferno, mentre per N.K. si sono aperte le porte del carcere.
Da registrare anche il ruolo positivo dei rappresentanti della comunità musulmana: alcuni esponenti hanno convinto la donna che era giusto presentare denuncia e che così facendo non violava nessuna norma religiosa. Anche nel corso del sermone della preghiera del venerdì i rappresentanti della comunità hanno voluto condannare il brutto episodio davanti a tutti i fedeli.
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