La privacy ai tempi di Google

Oreste Pollicino, docente di diritto alla Bocconi, ha tenuto al Rotary Club una relazione dedicata al rapporto tra libertà d'espressione e utilizzo dei dati sensibili in internet

L’avvento di internet ha modificato il nostro rapporto con la realtà senza non poche conseguenze sia nel bene che nel male. Ogni volta che navighiamo lasciamo tracce nella rete, i cosiddetti cookies, che poi vengono usate dalle società informatiche per scopi pubblicitari. I nostri gusti sono dunque osservati, classificati e venduti. Poi ci sono i social network (Facebook, Twitter) che trasformano ciò che è privato in pubblico, facendo perdere i confini della riservatezza nel nome della libertà di espressione. Ma fino a che punto si possono utilizzare i dati sensibili di chi naviga in internet? Privacy e dignità delle persone devono per forza essere sempre sacrificati di fronte al business? Temi fondamentali nell’era della iperconnettività, affrontati da Oreste Pollicino, docente di diritto dell’informazione e della comunicazione all’università Bocconi di Milano, al Rotary club di Varese.

L’analisi di Pollicino è partita da un fatto realmente accaduto a Torino e destinato a diventare un caso di scuola. Nel settembre del 2006 alcuni ragazzini si filmano mentre maltrattano e prendono in giro un compagno di classe affetto da autismo. Il video viene poi caricato sul servizio Google Video dove rimane visibile per circa due mesi, risultando tra i filmati più visti e considerato (ahimè) tra i «più divertenti». Nell’audio si fa riferimento anche all’associazione ViviDown nei cui confronti i ragazzi rivolgono frasi ingiuriose. «In questo caso – ha spiegato Pollicino- sono molti gli aspetti da analizzare: la tutela della privacy e dei dati sensibili, la tutela del minore e della sua dignità, il dovere di controllo che spetta a chi gestisce le piattaforme informatiche, il modello educativo della nostra società e i confini della libertà di espressione ».
Dopo la denuncia, l’associazione ViviDown si costituisce parte civile nel processo che si conclude con una sentenza di condanna a 6 mesi di reclusione per i tre dirigenti e con una assoluzione per il reato di diffamazione. È la prima volta che un dirigente di Google viene condannato in relazione a dei contenuti immessi da un utente. «Quel processo – continua il docente – ha messo dei punti fermi. Se da una parte Google ha ammesso di non poter controllare la mole enorme di filmati che vengono caricati ogni minuto sulla sua piattaforma perché sarebbe eccessivamente oneroso, ad impossibilia nemo tenetur, dall’altra il giudice non esclude la responsabilità per violazione del codice della privacy ed è per questo che condanna i suoi dirigenti».
Google ha dunque accettato il rischio derivante dall’inserimento e dalla divulgazione di dati, anche sensibili, che avrebbero invece dovuto essere oggetto di tutela. Nel prossimo autunno è attesa la sentenza di appello. Nel frattempo navigate con attenzione.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Giugno 2012
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