Schiacciato dalla pressa. La Cgil attacca: “Una vergogna per il Paese”
Le indagini sull’episodio, coordinate dal Procuratore Capo del Tribunale di Busto Arsizio, proseguono nel massimo riserbo. Sembra che l’uomo, già in pensione, non figurasse in nessun modo come dipendente dell’azienda
Sette morti sul lavoro in dieci mesi, un tragico record che deve far riflettere. Lo dice la Cgil di Varese, Dipartimento salute e sicurezza, commentando la morte di Giordano Raimondi, 73 anni, schiacciato dalla pressa sulla quale stava lavorando all’interno della ditta Montalbetti spa di Cairate. Le indagini sull’episodio, coordinate dal Procuratore Capo del Tribunale di Busto Arsizio, Eugenio Fusco, proseguono nel massimo riserbo. Dalle notizie che filtrano, sembra che l’uomo, già in pensione, non figurasse in nessun modo come dipendente dell’azienda: su questo aspetto e sulla dinamica dell’incidente si stanno rivolgendo le indagini di investigatori ed inquirenti. Dalle prime ricostruzioni sembra che Giordano Raimondi stesse lavorando ad una macchina per pressare i rottami, chiamata spacca binari, che si è incastrata. Il pensionato ha tentato di sbloccare il pistone, ma quando la macchina è ripartita lo ha stritolato, uccidendolo.
Durissimo il commento del sindacato: «Morire sotto una pressa a 73 anni è una vergogna per questo Paese. Colpisce l’età dell’uomo rimasto coinvolto: a quell’età non si dovrebbe essere impegnati in un’attività lavorativa. Tanto più se l’attività lavorativa è quella molto rischiosa della lavorazione dei materiali ferrosi a seguito di demolizioni e rottamazione – si legge nella nota di Cgil -. Si può ipotizzare che la povera vittima avesse scelto di non godersi la pensione per necessità, perché il reddito da pensione non è più sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa. Dobbiamo anche rilevare che la decisione presa con la recente riforma di allungare l’età pensionabile non tiene conto della pericolosità del lavoro svolto; non considera che dopo una certa età la capacità di attenzione e di reazione psicofisica si riducono, esponendo maggiormente ai rischi lavorativi. Per altro, il fatto che il pensionato non avesse un contratto regolare dimostra quanto sia ancora molto diffusa tra gli imprenditori nostrani la convinzione che non applicando le regole si possa essere più competitivi, perché si abbassano i costi che gravano sul lavoro. Il magistrato e gli organismi di vigilanza accerteranno se la macchina era in regola, tuttavia si può sostenere che non è stata effettuata un’adeguata valutazione del rischio in quella posizione lavorativa, perché doveva essere impedito all’operatore di accedere, volontariamente o involontariamente, alle parti in movimento attraverso dispositivi di sicurezza o sistemi di segregazione o copertura dell’area a rischio. Purtroppo, dobbiamo prendere atto che c’è ancora molta strada da percorrere per realizzare pienamente la cultura della sicurezza e la cultura della legalità nelle imprese e nel paese».
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