Continua il viaggio di Stoà in Terra Santa

Continua il viaggio dei ragazzi del Centro Giovanile di Busto nei luoghi della nascita del cristianesimo. Ecco la seconda parte del diario di viaggio

Benedetta Candiani, direttrice del Centro Giovanile Stoà di Busto Arsizio, insieme a tutti i giovani in pellegrinaggio, ci scrivono un piccolo diario del viaggio nella "Terra del Santo". Qui la prima parte del racconto dei ragazzi.

 6 agosto 2013, Nazareth

Il gruppo comincia a conoscersi meglio e questo rende ancor più gustoso ripercorrere, grazie all’amicizia tra noi, una storia che non è una semplice narrazione di fatti accaduti ma la Storia che sentiamo in noi.
E con questa consapevolezza affrontiamo una giornata che ci porta, come prima tappa, alle fonti del fiume Giordano, lo stesso corso d’acqua ove Gesù ricevette il battesimo. In queste acque e in questo scorcio di natura dall’incantevole bellezza, Gesù domandò ai suoi discepoli: “la gente chi dice che Io sia?”. E da qui prese poi quel cammino che Lo condusse fino a Gerusalemme per il sacrificio più grande. L’acqua del Giordano scorre placida sgorgando sotto le rocce e noi la ammiriamo ripensando che duemila anni fa questi luoghi sono stati il centro di una rivoluzione che riverbera la sua potenza ancora oggi.
Riprendiamo il pullman e ci avviamo, con una certa fame, verso la meta della nostra pausa pranzo: un villaggio druso, popolazione dal culto sincretico, di cui molti di noi ignorano l’esistenza. Il tempo è avaro e per ogni persona o luogo incontrato varrebbe la pena fermarsi ancor di più, ma sappiamo che non è possibile perchè il viaggio è ancora lungo; ci “accontentiamo” di assaggiare la loro specialità, ossia il “Labane”, una semplice piadina infarcita di formaggio di capra, di olio e di timo, la quale rinfranca nel corpo e nello spirito i pellegrini in cammino. Mentre pranziamo, sinistri rumori fanno da colonna sonora e, dopo i primi momenti interrogativi, comprendiamo che siamo così vicini alla Siria che non è possibile confondere con altro i colpi d’artiglieria che riecheggiano tra le alture del Golan. Lontani echi che i nostri cuori sentono però vicini, tremendamente vicini, e ripensiamo alla sofferenza che l’uomo è capace di provocare. Nel pomeriggio vediamo una vecchia base dei servizi siriani, persa, insieme al territorio circostante dopo la “Guerra dei sei giorni” del 1967 e bombardata nuovamente con la guerra dello Yom Kippur del 1973.
Riprendiamo, in cima al monte Avidal (punto più alto del Golan) con il cuore e con la mente, la meditazione inziata al mattino e quella domanda di Gesù, domanda per ciascuno di noi, la quale ci costringe a chiederci quale spazio occupiamo noi, per noi stessi e per gli altri… e quanto gettare semi di speranza, di pace e fratellanza non debba essere un’utopia irraggiungibile, ma un fatto che deve valere qui ed ora, affinchè si possa sperare che quella colonna sonora del pranzo possa cambiare e trasformarsi in una sinfonia calda ed accogliente come quella di un oboe.

7 agosto 2013, Nazareth – Zababde

Campagna palestinese, fuori l’odore di mucca si mischia ai fuochi d’artificio e ai botti che salutano un altro Ramadan che va a concludersi. Dentro le eliche dei ventilatori scorrono veloci, anche se il caldo è poco opprimente la sera.
Qui è Zababde, Cisgiordania del nord, piccola cittadina abitata da cristiani cattolici e greco ortodossi, minoranze delle minoranze che formano un puzzle difficile da esprimere a parole. Ciò che rimane è la loro accoglienza, la tavola imbandita, l’anguria da gustare con un duro formaggio di capra, l’hummus di ceci leggermente speziato, i felafel deliziosi e una bimba che giochicchia e sorride ignara della terra avara di semplicità in cui è nata. Terra che porta suo padre rispondere “NO HOPE” alla domanda circa il futuro dei suoi figli.
Prima di oltrepassare il check point che divide Zababde dallo stato di Israele, ripensiamo alla giornata sempre ricchissima, appena trascorsa.
Siamo partiti di buon mattino da Nazareth: la prima meta del quarto giorno di pellegrinaggio è il Monte delle Beatitudini, il quale si affaccia sul lago (o mare secondo le fonti evangeliche) di Tiberiade: su questo monte Gesù descrisse il Beato, colui che fa della fede e dell’amore non vuote e retoriche parole, ma una prassi esistenziale. Non nel senso di un raggiungimento della perfezione, ma nel desiderio di sciogliersi, nonostante i propri limiti; anzi, proprio grazie all’esperienza del proprio limite, accogliendo integralmente il rapporto con l’altro, vivifichiamo il rapporto con Dio. Celebrata la Messa scendiamo a piedi fino alla Chiesa posta a memoria del Primato petrino e, grazie alle riflessioni date da Don Gabriele, comprendiamo meglio il significato di quanto detto qualche centininaio di metri di dislivello fa.
L’esperienza sul lago di Tiberiade e la visita agli scavi archeologici di Cafarnao (città di Simon Pietro) è decisamente significativa: la storicità dei Vangeli che perdono ancor più quell’aurea di narrazione, di favola educativa, mostrandoceli nella loro rilevanza innanzitutto storica.
Riassaporiamo la giornata, mentre ci godiamo l’accoglienza e l’ospitalità della comunità cattolica di Zababde, segno di una Chiesa che non ha confini, che ci aspetta, da qualsiasi parte del mondo arriviamo.

Le immagini, in ordine di pubblicazione, si riferiscono a:

foto 1: Banjas, alle sorgenti del Giordano

foto 2: Dalle alture del Golan, con lo sguardo verso il monte Ermon

foto 3: Scendendo dal Monte Tabor, vista sulla pianura di Esdrelon

foto 4: La parrocchia di Zababde

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Pubblicato il 09 Agosto 2013
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