Cinquant’anni fa la tragedia del Vajont
Nel suo messaggio il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ribadito che «quell'evento non fu una tragica fatalità, ma la conseguenza di precise colpe»
«La memoria del disastro che il 9 ottobre 1963 sconvolse l’area del Vajont suscita sempre una profonda emozione per l’immane tragedia che segnò le popolazioni con inconsolabili lutti e dure sofferenze. Il ricordo delle quasi duemila vittime e della devastazione di un territorio stravolto nel suo assetto naturale e sociale induce, a cinquant’anni di distanza, a ribadire che quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità». Con queste parole il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto ricordare il cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont. La data del 9 ottobre è stata proclamata dal Parlamento la "Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo".
Le parole del presidente della Repubblica:
Desidero, inoltre, esprimere profonda riconoscenza a quanti, in condizioni di grave rischio personale, si sono prodigati, con abnegazione, nell’assicurare tempestivi soccorsi ed assistenza, valido esempio per coloro che, nelle circostanze più dolorose, rappresentano tuttora un’insostituibile risorsa di solidarietà per il paese».
La storia del Vajont*
L’evento fu dovuto ad una frana caduta dal versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Udine (all’epoca dei fatti, ora Pordenone, Friuli-Venezia Giulia), staccatasi a seguito dell’innalzamento delle acque del lago artificiale oltre quota 700 metri (slm) voluto dall’ente gestore per il collaudo dell’impianto, che combinato a una situazione di abbondanti e sfavorevoli condizioni meteo (forti precipitazioni), e sommato a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, innescò il disastro.Alle ore 22.39 di quel giorno, circa 260 milioni di m³ di roccia (un volume quasi triplo rispetto all’acqua contenuta nell’invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (108 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d’acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda di piena tricuspide che superò di 200 m in altezza il coronamento della diga e che, in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto seppur privato della parte sommitale) riversandosi nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i suoi limitrofi. Vi furono 1917 vittime di cui 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni
* fonte: Wikipedia
Lo scrittore Mauro Corona è uno dei sopravvissuti alla tragedia. Nel suo libro "Vajont: quelli del dopo" (Edito da Mondadori), racconta la vita dei paesi della valle dopo la tragedia del 9 ottobre 1963:
Mauro Corona vive ancora a Erto. A distanza di 44 anni (l’intervista è del 2007, ndr) dalla tragedia, se gli chiedi quale sia il ricordo di quella sera, ti risponde senza esitare: «Il rumore». Un rumore indimenticabile e difficile da descrivere. «Pensa a un camion – racconta l’uomo – che svuota il cassone pieno di ghiaia e che la fa precipitare da un’altezza di cinquecento metri. Poi moltiplica il tutto per trecento milioni di metri cubi di terra. È un rumore apocalittico. Al regista del film (Renzo Martinelli ndr) glielo avevo detto: se vuoi far capire alla gente che cosa è stato il Vajont, devi fargli sentire all’inizio del film due minuti di quel rumore».
Leggi l’intervista completa su VareseNews
Il vajont raccontato da Marco Paolini:
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