L’Ebola in Italia non c’è. Ma gli ospedali sono pronti

Dall'agosto scorso, negli ospedali di Varese e Busto si lavora per prepararsi ad accogliere eventuali casi. Percorsi isolati e verifiche immediate per i casi sospetti

Il virus Ebola fa paura? Il fatto che in tre paesi dell’Africa Occidentale sia fuori controllo e che il virus sia arrivato negli Stati Uniti e in Spagna ha riacceso l’attenzione su questa malattia dall’elevata mortalità. “Un contagio come quello ai tempi del virus Hiv” ha affermato l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le autorità sanitarie italiane, però, invitano alla calma: « Stiamo parlando di una patologia molto pericolosa, è vero, ma il sistema dei controlli è elevato e le procedure per affrontare un eventuale primo caso sono precisissime» A parlare è la dottoressa Tiziana Quirino, primario del reparto di infettivologia all’ospedale di Busto Arsizio, il centro di riferimento anche per lo scalo di Malpensa.

« Ci stiamo preparando da mesi: attrezzature, percorsi, modalità di individuazione e accoglienza di eventuali pazienti sia a basso sia ad alto rischio – spiega il primario – Ciò che è capitato in Spagna non è chiaro anche se, probabilmente, c’è stato qualche errore nel momento della “svestizione”, che è la fase più delicata. Il personale va istruito e abituato a certi comportamenti: all’ospedale di Busto siamo ormai in fase avanzata di preparazione. Anche in pronto soccorso, dove esiste un percorso specifico per chi dovesse presentarsi con la febbre provenendo dai tre paesi africani colpiti dall’epidemia».

La preoccupazione, infatti, è ritrovarsi fianco a fianco, mentre si attende il triage, con persone a rischio: « È sicuramente compito del nostro personale agire con la massima urgenza davanti a casi sospetti. Però voglio tranquillizzare tutti: il virus dell’Ebola si trasmette solo per contatto con fluidi infetti. Sedere accanto a una persona con la febbre non espone ad alcun pericolo. Ricordiamo, inoltre, che il contagio inizia solo con la manifestazione dei sintomi e non durante l’incubazione. Più si evidenziano questi sintomi, più si aggravano le condizioni e più rischio c’è di rimanere contagiati. Ecco perché, con i casi sospetti, abbiamo definito un modello di accoglienza in isolamento dove, poco personale, un medico e un infermiere soltanto, effettuano le analisi richieste che vengono mandare all’ospedale Sacco di Milano dove, nel giro di 6 ore, si ha la risposta. Nel caso sia Ebola, il paziente viene trasferito in quel nosocomio, perché centro di riferimento in Italia insieme allo Spallanzani».

Regione Lombardia ha individuato nel Sacco il centro di riferimento. Fino a oggi sono stati 8 i casi sospetti che si sono poi rivelati falsi. Nel nosocomio milanese, sono sempre in servizio almeno 4 medici infettivologi  anche per fare consulenze ai colleghi di altre strutture ospedaliere. La rete di assistenza prevede 124 posti letto divisi in 12 ospedali della regione. Tra questi anche Varese e Busto

Anche Varese, dall’agosto scorso, sta organizzando percorsi mirati per eventuali pazienti che si presentassero ai propri pronto soccorso. L’ultima direttiva ministeriale con tutte le direttive precise è della scorsa settimana. Il protocollo adottato prevede di portare immediatamente il paziente in una zona isolata che, al Circolo, è all’interno dello stesso PS mentre a Luino e Cittiglio si trova in altre aree. Se il caso è sospetto, lo si ricovera nel reparto infettivi dove verrà sottoposto a controlli. Nel caso, invece, le probabilità di aver contratto la malattia siano elevate, si chiama direttamente il Sacco di Milano che invia un’ambulanza attrezzata per trasportare il malato. Dotazioni speciali sono a disposizione del personale che potrebbe venir coinvolto nella cura dei casi sospetti, mentre al triage c’è l’indicazione di agire con tempestività davanti a persone che accusano malessere e arrivino da Liberia, Guinea e Sierra Leone. 

A coordinare le attività sul territorio e, in particolare, l’attività sanitaria in aeroporto d’intesa con la sanità aerea è l’azienda sanitaria che, però, non vuole rilasciare dichiarazioni. È certo, comunque, che nello scalo c’è una rete di lavoro che fa riferimento agli infettivologi del territorio, disponibili in ogni momento. 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Ottobre 2014
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