Ho 24 anni e sono un caporeparto
Alessandro Braglia dopo il diploma all'Isis è stato assunto alla Igb srl e oggi si sente inserito nel progetto aziendale. «Lavorare significa dare e ricevere molto e puoi farlo con entusiasmo solo se hai passione per il tuo lavoro»
Alessandro Braglia lavora alla Igb srl di Viggiù da quando aveva vent’anni. Con un diploma di perito tecnico in tasca, conseguito all’Isis di Varese, si era presentato in azienda per il colloquio, non sapendo che a condurlo c’era il proprietario e fondatore, Dino Bressan. Oggi di anni ne ha ventiquattro, lavora ancora alla Igb, è diventato caporeparto e dice di avere un buon motivo per alzarsi ogni mattina.
Alessandro, cosa ricorda di quel colloquio?
«La sensazione netta che un imprenditore sa quello che vuole e sa valutare chi ha di fronte. Non lo dico perché il mio datore di lavoro allora mi assunse, ma perché sentivo che le sue parole erano come le forbici di un sarto che ritagliano con precisione dalla stoffa il vestito che puoi indossare. Insomma, avevo la sensazione non solo che volesse investire su di me, ma che avesse capito realmente chi aveva di fronte».
Lei ha indossato subito l’abito del caporeparto?
«No, sarebbe anche un errore. In realtà sono entrato in Igb facendo un lavoro manuale, pulivo gli stampi. È molto importante per un giovane lavoratore conoscere il processo produttivo. Poi un giorno mi portarono a Losanna, dove vengono progettate e costruite le macchine che usiamo. Quattro giorni per imparare e conoscere e li ho capito che ero chiamato ad avere più consapevolezza del mio lavoro».
Ma che cosa fa oggi la differenza nel suo lavoro e perché dice di svegliarsi contento?
«L’essere coinvolti in un progetto. Io dopo quel viaggio ho capito che ero parte del disegno aziendale e che il mio contributo era importante in quanto non mi si chiedeva solo una prestazione meccanica, uno scambio, ma mi si chiedeva di metterci testa e cuore. Lavorare significa dare e ricevere molto e puoi farlo solo se hai passione per ciò che fai. Io continuo a dare e a ricevere molto».
Jobs act, articolo 18 sì, articolo 18 no. Che cosa pensa del dibattito che c’è nella società?
«Penso di essere fortunato, sapendo però che la fortuna giova agli audaci, nel senso che mi sono messo in gioco. Non credo che ci sia un conflitto generazionale, ma la paura tanto presente nella società ha ridotto gli spazi per i giovani e soprattutto il dialogo tra ragazzi e anziani. Credo che l’esperienza di un lavoratore maturo sia altrettanto importante dell’entusiasmo di un giovane. I due aspetti andrebbero integrati e non messi o visti solo in conflitto».
Come vede il suo futuro?
«Sono un ottimista e ho le ragioni per esserlo. Quindi lo vedo bello, come il mio presente».
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